Esclusivo Binaghi: "Sono un eretico, ma ho salvato il tennis"

Da presidente ed ex giocatore conosce lo sport. Da ingegnere sa che gestire vuole dire confrontarsi con i numeri e i suoi sono da record
Esclusivo Binaghi: "Sono un eretico, ma ho salvato il tennis"© ANSA
Paolo de Laurentiis
12 min

«Lo so, sono un eretico ma l’eresia applicata a noi stessi dà ottimi risultati. Non lo dico io, sono dati elaborati da terzi. Come popolarità abbiamo raggiunto la Ferrari e talloniamo il calcio che ha comunque un tasso di crescita inferiore al nostro». Angelo Binaghi, 62 anni, presidente della Federtennis (oggi tennis e padel) dal 2001, rivendica la crescita della sua creatura: «Ricordo l’inizio, tutti scappavano dalla federazione. Gli Internazionali perdevano 3-4 miliardi l’anno, mancavano le vittorie e i praticanti».

Oggi cos’è la Federtennis? 
«Una realtà che in vent’anni ha quadruplicato i tesserati, dà lavoro a più di mille persone quando in passato non si arrivava a cento». 
 
Merito di… 
«Non voglio personalizzare. Ho solo rappresentato una nuova classe dirigente: noi, mediocri giocatori sul viale del tramonto, volevamo portare la federazione in un’altra dimensione, partendo dal basso, dando noi per primi l’esempio. Strada facendo siamo stati anche fortunati perché abbiamo incontrato ragazze straordinarie, il settore maschile è cresciuto, è nata la joint venture con Coni Servizi (ora Sport e Salute, ndr) per gli Internazionali. E magari qualche buona idea l’abbiamo anche avuta». 
 
Le Finals a Torino, gli Internazionali di Roma apprezzati in tutto il mondo, gli Us Open in chiaro su Supertennis e ora anche la nuova sede. 
«Se all’inizio mi avessero detto che avremmo realizzato anche una sola di questa cose mi sarei messo a ridere». 
 
Pensava di restare in carica così tanto? 
«Assolutamente no. La realtà è che con il passare del tempo c’è stata la necessità di proseguire nella gestione delle cose straordinarie, in senso positivo, che avevamo creato. Tanto è vero che nei primi due mandati si è presentato un candidato di opposizione, successivamente neanche quello».

Eppure la politica vuole imporre il limite dei tre mandati. 
«Chissà cosa sarebbe successo se nel 2012, dopo il mio terzo mandato, fossimo stati obbligati a passare la mano. Che cosa ne sarebbe stato della curva di crescita del tennis italiano?». 

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Un ricambio però dovrà pur esserci. 
«E io sono favorevole. Il vero problema è che in Italia non esiste una scuola che formi nuovi dirigenti. Quando vent’anni fa sono arrivato, non sapevo neanche cosa fosse il Coni». 

Ora c’è una legge. 
«Sbagliata, che sta andando oltre l’obiettivo di assicurare un ricambio. Parlare di tre mandati e basta vuol dire condannare all’oblio un dirigente. Altra cosa è limitare a tre mandati consecutivi. Ma quella parola lì, “consecutivi”, nella legge non c’è. Oggi, poi, un piccolo dirigente sportivo di periferia ha più restrizioni del sindaco di Roma, solo per fare un esempio, e siamo di fronte nella maggior parte dei casi a volontari. Sarebbe come porre un limite ai volontari della Croce Rossa. C’è anche un problema di coerenza. Una legge del genere aveva senso con i Cinquestelle, che si erano imposti loro per primi un limite ai mandati prima di farlo con gli altri». 
 
Cinquestelle prima maniera. 
«Poi hanno parzialmente cambiato idea anche loro». 

Come finirà? 
«Ci sono due ricorsi, rigettati sia dal Coni che dalla Federazione che hanno applicato la legge. Il Tar ha posto un’eccezione di costituzionalità, ora dovrà esprimersi la Corte costituzionale». 
 
Come si migliora una Federazione che sembra aver ottenuto il massimo. 
«Per prima cosa mettendo in sicurezza quello che abbiamo: le Atp Finals le vorremmo per altri cinque anni, il padel non è all’anno zero ma all’anno uno e c’è molto da fare a partire dalla nascita di Superpadel, canale tv sulla scia di Supertennis. Vorremmo anche sviluppare il pickleball». 
 
Il tennis nelle scuole?
«Fa parte del nostro programma di sviluppo: già l’anno scorso abbiamo coinvolto più di 300.000 bambini con il progetto Racchette in classe. L’obiettivo è far diventare gli sport della racchetta i più popolari, anche paragonandoci al calcio e al calcetto». 
 
Gli internazionali di Roma meritano un discorso a parte. 
«Erano falliti, oggi valgono 385 milioni di euro e generano un impatto economico sul territorio di 400. Sono la più grande manifestazione italiana con carattere di ripetitività e da quest’anno dureranno dieci giorni». 
Quanto c’è dell’ex tennista e quanto dell’ingegnere nelle sue idee? 
«Del tennista il punto di partenza: l’attenzione alle esigenze dei giocatori, dei circoli. Dell’ingegnere la gestione che vuol dire riscontro con i numeri, confronto anche con il mondo esterno per capire, se non sei il primo, cosa puoi fare per diventarlo». 
 
La nuova sede di via della Camilluccia, 4.500 metri quadrati per 100 persone, è un punto di svolta? 
«Dopo una trattativa durata mesi ci siamo riusciti. E ci tengo a sottolineare che è stata interamente acquistata con i proventi dell’attività commerciale. Il nostro gruppo prima era diviso in cinque sedi differenti: due all’Olimpico, la sede del volley (per Supertennis tv, ndr), 28 persone alle Officine Farneto in affitto più un’ulteriore società in via Oriolo Romano. Stando tutti insieme non solo risparmiamo sugli affitti ma miglioriamo l’integrazione e di conseguenza l’efficienza». 
 
L’accorpamento di alcune federazioni è un altro degli argomenti di cui si parla spesso. 
«Eppure sarebbe necessario per risparmiare soldi pubblici che in alcuni casi coprono a malapena le spese: federazioni con meno di 100 società non riescono ad autofinanziarsi, fanno fatica anche a sostenere l’attività dei loro atleti migliori. L’esplosione del padel sarebbe stata impossibile se fosse rimasto come federazione autonoma. Solo per stare agli sport della racchetta oltre al tennis abbiamo le federazioni di tennistavolo, badminton, squash, pallapugno e pallatamburello. Parliamo di queste cose da 15 anni, ma poi non succede mai niente. Perché poi verrebbero a mancare al momento delle elezioni voti anche piuttosto condizionabili». 
Il tennis ha sempre mantenuto una sua linea sulla presenza di russi e bielorussi, in campo da neutrali. È la strada giusta? 
«Dovrebbe chiederlo al Coni. È Pasqua, vorrei evitare polemiche e io sono un piccolo dirigente di periferia. Ricordo solo che un anno fa Rublev e Medvedev qualcuno diceva che non avrebbero dovuto giocare a Roma per rispettare i dettami del Cio, mentre ora mi sembra che si vada nella direzione opposta. Noi siamo stati nel nostro piccolo coerenti e, percorrendo una strada diversa, avremmo messo a rischio la sopravvivenza stessa degli Internazionali, un patrimonio dello sport italiano. Con o senza Binaghi». 
 
Binaghi candidato del Coni è fantasport? 
«Impossibile. La mia filosofia è esattamente opposta, nel bene e nel male. Dove io vedo bianco, il Coni vede nero. Io rappresento il tentativo di realizzare il sistema più efficiente possibile. Il mondo dello sport italiano è costruito al contrario, l’efficienza disturba, bisogna frazionare, dividere». 
 
Inviterà Malagò agli Internazionali? 
«Sempre». 
O quasi sempre? 
«Tutte le volte che è stato possibile. Solo una volta, quando abbiamo avuto causa covid gli ingressi contingentati al 10% non è stato invitato alcun dirigente per la scelta di far entrare il maggior numero possibile di appassionati, solo lui si è risentito. Malagò e il segretario generale Mornati hanno un invito perpetuo alle nostre manifestazioni. Qualche volta lui viene e noi siamo felici, molte altre no ma i giocatori vanno in campo lo stesso». 

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