Sinner: "Dopo il Roland Garros ero distrutto. Cahill? Spero di convincerlo a rimanere". E svela un retroscena sulla mamma...
Dell'orgoglio di essere italiano, della promessa a Berrettini in Coppa Davis e della rinuncia proprio alla prossima Davis, oltre al confronto tra campioni del presente e del passato, Sinner ne ha parlato a Sky nell'intervista che ora è disponibile integralmente e in cui Jannik ha detto molto altro. Di seguito la versione integrale con il direttore di Sky Sport Federico Ferri.
Jannik, bentornato per il quarto anno su Sky Sport per questa chiacchierata che precede l’ATP Finals. Siamo nel Centro Oncologico di Candiolo e mi ricordo in un tuo discorso, dopo aver vinto un trofeo, questa cosa: “Qui ci rendiamo conto di essere un po' più piccoli e quali sono le cose che poi contano davvero” hai detto.
“Sì, ecco. Per me è la terza volta che entro qua dentro, è molto emozionante perché comunque ti rendi conto di cosa sia più importante. Per tutti noi, per la vita giornaliera che abbiamo. Noi come atleti ci rendiamo conto, purtroppo, solo di quando vinci e perdi. Ma appena hai un problema anche piccolo di natura fisica, capisci che vuoi essere solo sano. È un posto molto speciale per fare questa intervista, sono molto contento di essere qui, davanti a gente molto, molto più importante di noi, tennisti o atleti, che siamo bravi in quello che facciamo. Io sono bravo in quello che faccio io, posso dire (applausi dalla platea, ndr). Però, ecco, diciamo, conta tutt'altro”
Sono seduto di fianco al primo e unico, per ora, numero uno del mondo italiano, il primo che dal 1877 ha vinto il torneo di Wimbledon. Ora, io non so se tu riesci, nel vortice della tua attività quotidiana, a renderti conto della storicità e della storia che stai scrivendo. Ci pensi, ce la fai o vivi solo giorno per giorno?
“Io credo di essere una persona che sta molto sul presente, ovviamente so di quello che ho fatto fino ad ora, nella mia molto giovane carriera, e ovviamente sono molto contento. Però il problema che abbiamo noi nel nostro sport è che giochiamo quasi tutte le settimane, quindi non ti rendi conto. Capita dopo la stagione, quando vai in vacanza, quando fai altre cose: lì inizi a pensare, a riflettere su quello che hai fatto. Quello che ho fatto io a Wimbledon è stato molto speciale. Per esempio, Matteo Berrettini è stato molto vicino: ha fatto la finale, e prima di quel match senti una cosa diversa, perché comunque entri in un centrale di nuovo. Ma è un’altra cosa: quando entri in un centrale nel primo turno, o in una semifinale, o una finale, cambia tantissimo. In quel momento lì ho provato a stare tanto sul presente, su quello che volevo fare: stare attento alla prestazione. Alzare questo titolo a me ha cambiato un po', perché Wimbledon è sempre stato e rimarrà sempre il torneo del tennis, secondo me. Sono contento di portare questo trofeo anche in Italia, perché l'Italia è un paese che a me dà veramente tanto, come è stata anche la Coppa Davis, che abbiamo vinto due volte di fila. Ecco, ci sono alcuni tornei che fanno bene a essere di nuovo in Italia e sono molto contento di dare il mio contributo”
Tornando a quella partita, quanto c'era nella preparazione di quel match, se c'era qualcosa, di quanto hai imparato contro Alcaraz alla sconfitta a Roland Garros?
“Al Roland Garros si può dire che eravamo molto vicini, a tre match point! Quando le cose si complicano, c'è qualcosa dentro di me che mi fa capire che c'è ancora un tantissimo da lavorare. E dopo quella finale, mi ricordo che i primi due, tre giorni era un disastro, perché non riuscivo nemmeno a dormire. Non avevo energia durante il giorno, ero distrutto”
L'hai proprio patita?
“Sì, perché pensi ai tre match point, pensi ai 5-4 e servizio. Poi anche: ‘Il quinto set nel tie break potevo giocarlo meglio?’ Sì e no. Carlos ha giocato da Dio e quindi è molto difficile. Però ci pensi. Per questo ho deciso di andare ad Halle e giocare il torneo per vedere come stessi. E mentalmente non stavo benissimo. Poi è arrivato Wimbledon: la settimana prima, soprattutto durante l’allenamento, mi sono detto quanto mi volevo preparare per questo torneo. Lì è iniziato tutto un processo importante: siamo stati in campo tante ore, tre o quattro al giorno, per capire come si gioca sull'erba. L'anno scorso mi ero sentito molto bene su quella superficie, proprio come quest’anno: ho cominciato benissimo. Il mezzo miracolo è avvenuto durante la partita contro Grigor (Dimitrov, ndr), quando ero molto vicino alla sconfitta: non vuoi vincere così, però è successo. In semifinale ho giocato molto bene con Novak (Djokovic, ndr) e poi lì ho preso la confidenza per giocare un'ottima finale. Ho giocato molto bene, però anche lì era difficile perché ero break sopra nel primo, ho perso 6-4 e mi sono detto: ‘Ecco, ci risiamo’. Invece mi sono messo lì e ho cercato di essere il giocatore che volevo. Volevo far capire a me stesso che ero migliorato da Parigi”
Questo dimostra anche quanto c'è di mentale in queste partite. Tornando per un attimo a Parigi, Federer, che non esagera mai con le parole, dopo quel match, che ricordiamo è il più lungo della storia di uno Slam, ha detto che ci sono stati tre vincitori: tu, Alcaraz e il tennis. Ora, detto che ti potrai rifare e ci hai raccontato di quanto hai patito quella sconfitta, oggi riesci un po' a vederla così? Riesci a vederla con l'animo di chi ha comunque disputato una grande sfida? Ricordo anche il momento in cui hai insegnato tu un po' a noi a vederla in modo diverso: quando hai detto che stavi cominciando a pensare che comunque fosse stata la tua miglior partita sulla terra battuta.
“Sì, alla fine devi sempre provare a trovare le motivazioni positive. Credo che questo valga nella vita in generale. Me ne sono reso conto dopo: c'erano persone che venivano per farmi i complimenti, dirmi che era stata una partita incredibile… Lì ti rendi conto di aver fatto qualcosa di importante. Anche io adesso a volte rivedo certi punti sui social perché è normale, purtroppo: è la fortuna e la sfortuna proprio dei social. Però è stata una partita incredibile e mi sono messo nella testa che io ero uno dei due giocatori in campo: credo che una match così rimarrà per tanto tempo nella storia del tennis”
In una conversazione contenuta in un docufilm, Juan Carlos Ferrero, l'allenatore di Alcaraz, dice una frase molto forte: “Per essere numero uno, devi diventare un po' schiavo del tennis, schiavo del tuo sport”. Un'accezione che può essere anche un po' negativa. Quello che mi pare è che tu, anche da Numero 1 e anche con questa pressione addosso, questa ossessione addosso, riesca ancora a vederla con piacere, cioè a vedere l'aspetto del divertimento. È così oppure cominci a sentirla, questa schiavitù?
“Io userei un'altra parola, cioè ‘passione’. Perché io ho tanta passione in quello che faccio. Ho avuto la fortuna di provare altri sport, quando ero giovane: sono andato a sciare, ho giocato a calcio, sono andato un po' in bici, ho provato un po' a correre. Però il tennis mi ha insegnato che posso vedere me stesso, cioè ritrovo me stesso in un campo: fuori dal campo può succedere qualsiasi cosa, ma in campo mi sento al sicuro. E quindi, soprattutto quando le cose vanno bene, devi migliorare ancora di più e devi lavorare tanto. Perché è proprio lì che fai la differenza. Quando vinco una partita, quando le sensazioni sono quelle positive, vado in campo ad allenarmi perché la mente apprende molto di più tutti i piccoli dettagli. Quando perdi e sei un pochettino più negativo, a volte non ha neanche tanto senso andare in campo. Però ognuno vede le cose in modo diverso. Ci sono tanti sacrifici da fare. Questo è sempre stato così e sarà sempre così. E per me il tennis sarà sempre al primo posto, fino a quando deciderò di giocarci. Spero di farlo per tanti anni, perché se il mio fisico me lo permette, le persone intorno lo capiscono, la famiglia mi sostiene, ho un team forte, allora si continua a spingere. Ci sono tanti sacrifici, c'è un'ossessione incredibile perché devi sempre mangiare bene, ti svegli il mattino, vai a dormire presto. La sera magari in un anno esci cinque volte, non fai mai niente. Però a me piace così, io sono fatto così”