Pietrangeli, l'ultimo saluto: musiche di Aznavour e Sinatra

Oggi dalle 9 la camera ardente sul campo che porta il suo nome al Foro Italico. Poi i funerali in forma privata
Ronald Giammò

ROMA - Veniva da lontano, Nicola Pietrangeli. Cittadino del mondo. Il tennis il suo campo d’elezione, un vestito indossato con naturale eleganza e che sentiva andargli stretto. Vuoi mettere la vita, l’arte dell’incontro in cui sempre è riuscito a far dell’altrove un luogo felice e degli altri - dai reali fino alla prima ballerina del Crazy Horse - compagni di viaggio con cui condividere il brivido di una beffa e il vento di una risata. Ma Roma, Roma è sempre rimasta casa. Il ventre cui far ritorno, le radici che nessuna stagione e nessun dolore sono riuscite a congelare e che domani, per l’ultima volta, si farà abbraccio pronto a riaccoglierlo.

Pietrangeli, l'ultimo saluto

Appuntamento alle ore 9. Tutto come da disposizioni da lui già inoltrate in vita. Camera ardente allestita sul campo che porta oggi il suo nome. Parcheggi non mancheranno e spazio ce ne sarà per i tanti - c’è da giurarlo - che andranno a rendergli omaggio e che tra gradoni e marmi rievocheranno i tanti, tantissimi aneddoti in cui le loro vite hanno incrociato la sua: veri, presunti, chissà. Anche di questo si alimentano i miti. Guai ad andare a verificare di persona, guai indagare. Ricordare semmai, abbandonarsi al balsamo della memoria: “Hier encore J’avais vingt ans, Je caressais le temps et jouais de la vie”. Gioire della vita, come cantava Aznavour, colonna sonora della giornata - altra sua richiesta - che accompagnerà la processione dei tanti che accorreranno a salutare il campione, l’ispirazione, il capitano, l’amico. In molti l’hanno già fatto. Chi pubblicamente, come Alberto di Monaco, chi in privato, come scelto da Jannik Sinner. Incroci inusuali, parabole e traiettorie altrimenti destinate a non incontrarsi e che invece hanno trovato in Pietrangeli la sintesi perfetta, di chi giocando ha vissuto e della vita ha saputo fare e farsi gioco. Generosamente, ma senza mai prendersi troppo sul serio. Dividendo, schivando l’ordinario e il banale e sempre lasciando però una traccia del proprio passaggio


© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Tennis

Pietrangeli e un amore chiamato Coppa Davis

La Coppa Davis, quella, non poteva certo mancare. Anche lei farà sfoggio di sé, sul campo in terra battuta lì accanto al suo feretro. E consola pensare che Nick abbia fatto in tempo a vedere lo storico tris messo a segno dai ragazzi di capitan Volandri prima di far calare il sipario sulla sua avventura. Un destino, quello dell’ambita insalatiera d’argento, cui Pietrangeli ha legato il suo: nei numeri di partite disputate e di vittorie ottenute - ormai da tutti considerati insuperabili -, nell’ostinazione con cui ne ha difeso il prestigio, nella volontà in cui fino all’ultimo ha voluto onorarne la sacralità, ormai anziano e in stampelle ma presente a Malaga nell’ora di un successo atteso da oltre quarant’anni. Scorreranno sui maxischermi le immagini felici di quei giorni, come di altri, e i campioni allineati nell’omonimo tunnel che porta al campo saranno il corteo ideale che ne scorterà l’uscita di scena sulle note di “My way”, manifesto di Frank Sinatra scelto da lui per l’occasione. Ah, e se piove? Se piove non rimanderemo, Nicola. Anzi, sarà meglio. Le lacrime, se lacrime saranno, potranno così confondersi meglio.

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ROMA - Veniva da lontano, Nicola Pietrangeli. Cittadino del mondo. Il tennis il suo campo d’elezione, un vestito indossato con naturale eleganza e che sentiva andargli stretto. Vuoi mettere la vita, l’arte dell’incontro in cui sempre è riuscito a far dell’altrove un luogo felice e degli altri - dai reali fino alla prima ballerina del Crazy Horse - compagni di viaggio con cui condividere il brivido di una beffa e il vento di una risata. Ma Roma, Roma è sempre rimasta casa. Il ventre cui far ritorno, le radici che nessuna stagione e nessun dolore sono riuscite a congelare e che domani, per l’ultima volta, si farà abbraccio pronto a riaccoglierlo.

Pietrangeli, l'ultimo saluto

Appuntamento alle ore 9. Tutto come da disposizioni da lui già inoltrate in vita. Camera ardente allestita sul campo che porta oggi il suo nome. Parcheggi non mancheranno e spazio ce ne sarà per i tanti - c’è da giurarlo - che andranno a rendergli omaggio e che tra gradoni e marmi rievocheranno i tanti, tantissimi aneddoti in cui le loro vite hanno incrociato la sua: veri, presunti, chissà. Anche di questo si alimentano i miti. Guai ad andare a verificare di persona, guai indagare. Ricordare semmai, abbandonarsi al balsamo della memoria: “Hier encore J’avais vingt ans, Je caressais le temps et jouais de la vie”. Gioire della vita, come cantava Aznavour, colonna sonora della giornata - altra sua richiesta - che accompagnerà la processione dei tanti che accorreranno a salutare il campione, l’ispirazione, il capitano, l’amico. In molti l’hanno già fatto. Chi pubblicamente, come Alberto di Monaco, chi in privato, come scelto da Jannik Sinner. Incroci inusuali, parabole e traiettorie altrimenti destinate a non incontrarsi e che invece hanno trovato in Pietrangeli la sintesi perfetta, di chi giocando ha vissuto e della vita ha saputo fare e farsi gioco. Generosamente, ma senza mai prendersi troppo sul serio. Dividendo, schivando l’ordinario e il banale e sempre lasciando però una traccia del proprio passaggio


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