Berruto e il caso Egonu: “La Nazionale è un’istituzione da rispettare”

L’ex commissario tecnico dell’Italvolley maschile - oggi deputato - interviene sul dibattito del momento
Berruto e il caso Egonu: “La Nazionale è un’istituzione da rispettare”© LaPresse
Giorgio Marota
4 min

ROMA - «Dan Peterson diceva “Mai sanguinare davanti agli squali”. Ecco, ogni allenatore dovrebbe tatuarsi questa frase». La rinuncia di Paola Egonu alla Nazionale, prossima al torneo pre-olimpico, e quel momento di “pausa” chiesto dall’atleta dopo nuove tensioni e vecchi malumori col ct Mazzanti (e col resto del gruppo), hanno riaperto una ferita nell’Italvolley femminile, oltre che imbarazzare Fipav e Coni in ottica Parigi 2024. Lo strappo ha riportato col pensiero ai giorni (luglio 2015) in cui Mauro Berruto, ex ct degli uomini, oggi deputato e responsabile sport del Pd, cacciò dal ritiro a Rio de Janeiro il capitano Travica, Sabbi, Randazzo e Zaytsev per essere rientrati in albergo un sabato sera con eccessivo ritardo. Storie diverse, ma certe dinamiche finiscono sempre per somigliarsi. E la Nazionale, parola di Berruto, «è un’istituzione alla quale bisogna portare rispetto».

Egonu è finita in panchina, le ruggini sono riemerse e il gruppo ha avuto una crisi di rigetto per la giocatrice che le faceva vincere le partite. Mazzanti ha cercato un equilibrio che è andato in frantumi alla prima difficoltà. Egonu ha detto basta, per ora. Berruto, chi ha sbagliato in questa storia?
«Dare un giudizio è difficile senza conoscere la storia da dentro. Ma conosco Davide, un professionista serio. E ha ragione il presidente Manfredi quando dice che ora bisogna solo pensare ad andare alle Olimpiadi. Una cosa però la so: ci vuole più cultura dell’azzurro in questo Paese, come ha giustamente evidenziato il ministro per lo Sport Abodi. E faccio anche un’autocritica sui tecnici: ci sono allenatori che quando passano sradicano tutto come si fa con le radici del ginseng e da quel terreno non cresce più niente. In Nazionale non costruisci solo per te stesso, lavori per il futuro».

In questa vicenda non è stata rispettata la Nazionale?
«Dico soltanto che la Nazionale non è un club. E che la Nazionale non è per tutti. Poi ci sono le dinamiche della pallavolo, che hanno un peso».

Quali?
«Lei conosce un altro sport in cui passare la palla ai compagni è una regola? Attenzione a focalizzare tutto nella dinamica del rapporto Mazzanti-Egonu, perché sono sicuro che non è così. Ci sono anche altre 11-12 giocatrici».

Si esalta troppo l’individuo anche nei contesti di gruppo?
«Purtroppo siamo nella società in cui l’io prevale sul noi. Il talento non è tutto. Per arrivare puntuali all’allenamento, per lasciare in ordine lo spogliatoio, per rispettare il tuo allenatore, le tue compagne, il tuo club, la tua federazione o i tuoi tifosi non serve il talento, serve l’atteggiamento giusto».

Sono passati 8 anni da Rio. Dopo pochi giorni lei si dimise.
«Non potevo tradire quello in cui ho sempre creduto. Quelle dimissioni restano una cicatrice. Ma se fossi tornato indietro non avrei potuto più allenare quel gruppo e avrei perso credibilità agli occhi della squadra».

Come si mettono in panchina le star? E come si gestiscono le conseguenze?
«Non esiste un allenatore al mondo autolesionista che gioca per perdere e di solito non si mette in panchina chi ti fa vincere le partite. Se lo fai, c’è un motivo legato a questioni tecniche, oppure valoriali e comportamentali».

Questi Europei “italiani” le stanno piacendo?
«Questo è l’ennesimo momento magico per la pallavolo. Passano le generazioni di atleti, di allenatori, di tifosi. Ma negli ultimi 30 anni la pallavolo in Italia continua a essere lo sport che raccoglie più successi. In campo e di pubblico».


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