L'unicità di Ancelotti

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Ivan Zazzaroni
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Il culo di Carlo, e so che non si offenderà. Perché è unico, in tutto. È vincente, stratega, non è un artigiano, è l’Allenatore. Sa soffrire, lo accetta, sa attaccare e difendere, e alla fine arriva lui. Ancelotti è il calcio nella sua globalità, nella sua complessità e nella sua semplicità. Il calcio del ManCity è questione di musica. Anzi, di ritmo e in definitiva di trance. Credo che sia difficile giocare meglio di come ha fatto ieri sera la PepStation. Guarda come corrono tutti senza palla, ho pensato di nuovo, e tutti addosso agli avversari e poi fanno possesso e non ti lasciano respirare, inducono a sbagliare gente come Kroos e Valverde, costringono gli avversari a muovere il pallone all’indietro. Aggrediscono poco fuori dall’area e, una volta in possesso, attaccano in nove e insomma per reggere un urto del genere devi poter essere organizzato difensivamente come il Madrid, capace di arrivare fino ai rigori. Ho parlato di trance perché quelli di Guardiola sembra che giochino in una condizione affine allo stato ipnotico e che abbiano i polmoni del maratoneta e le gambe del centometrista.

Dopo il gol di Rodrygo confesso di aver sperato che il City non riuscisse a pareggiare. Perché sono uno sportivo vero (...) e adoro Ancelotti. Formidabile la disposizione sul campo della squadra di Guardiola, strepitosi Rodri, tatticamente imprescindibile, e De Bruyne è riuscito addirittura a nascondere Foden. Gran bella partita, di quelle che l’ansia va a mille e non capisci perché. In fondo non giocava un’italiana, in campo non c’era la squadra del cuore. A proposito di Italia e di cuore, stasera tocca alle nostre quattro, garantisco che tiferò schifosamente per Atalanta e Fiorentina e per quel quinto posto al sole dell’Europa: una in più in SuperChampions fa comodo a tutti.  

Tra Roma e Milan, le altre due, ne resterà una sola. Ieri De Rossi è stato fin troppo esplicito: «Loro vivranno la gara come l’ultima spiaggia». Una spiaggia piena di ombra; anzi, di ombre sul futuro. Questa dell’Olimpico nuovamente strapieno è una partita di sogni usurati, ma non estinti, di ragionevole speranza nella perfettibilità di una stagione. E ispira alcune domande: l’1-0 di San Siro indurrà De Rossi a giocare una gara più difensiva o in lui prevarrà nuovamente il coraggio, l’ottimismo, il “doping” naturale che gli ha permesso di raccogliere tanti punti e consensi? Un giorno Daniele spiegò che «una squadra che non è capace di difendere basso come fanno le provinciali è una squadra monca e incompleta». A Pioli presenterà la versione più provinciale? E ancora: l’assenza di Cristante toglierà molto sul piano fisico e tattico?

La qualità della Roma è nei piedi e nella testa di Dybala, nelle dimensioni e nella potenza di Lukaku, nell’incidenza dell’Olimpico sulle prestazioni di El Shaarawy, protagonista “tattico” anche a San Siro; il Milan ha senza dubbio più strumenti e soluzioni: Leao in serata è immarcabile per Celik, per chiunque; Giroud è spaventosamente forte di testa, ma dovrà vedersela con Smalling e Mancini; Pulisic è uno straordinario risolutore, oltretutto in splendida forma. Proprio come Chukwueze, l’uomo degli strappi. Avrete capito, per me il Milan è più forte della Roma, anche se a Milano per un’ora non c’è stata partita. PS. Anche un fenomeno come Leao - non per colpa sua - ha imparato a risolvere le questioni più scomode ricorrendo ai “dettagli”: «All’andata la Roma ha giocato bene - ha detto - abbiamo sbagliato noi i dettagli». 

Ma il Dybala della prima ora non è un dettaglio. E neppure Paredes. L’inconsistenza di Theo e, appunto, Leao fino al momento della sveglia è tutto fuorché un dettaglio. Mi ritorna in mente un vecchio tweet di Massimiliano Mangione: “Ho capito che mia moglie mi tradiva da piccoli dettagli: sguardi sfuggenti, parole non dette, i figli mulatti”.


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