Lo 'slow foot' di Garcia, l'uruguagio che rinnegò il Real 

Passato da meteora nel Milan e nel Venezia, in Grecia è venerato come un eroe dai tifosi del Paok: «A Madrid con Beckham solo glamour, il pallone è un'altra cosa»
Lo 'slow foot' di Garcia, l'uruguagio che rinnegò il Real © Action / Reuters/Lapresse
Giuliano De Matteis
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ROMA - Scarpini colorati? Arbitri fosforescenti? Wags? Non è roba per Pablo García, passato come una meteora anche in Italia tra Milan e Venezia, arrivato a rinnegare il Real Madrid per diventare un idolo a Salonicco, ora è diventato una sorta di ambasciatore dello "slow foot" . Una storia curiosa quella dell'ex calciatore uruguagio, 39enne tecnico della seconda squadra del Paok, che riporta alla mente l'epicità di un pallone antico fatto di "calci, sputi e colpi di testa" per dirla con Paolo Sollier.

Un personaggio a cui ha dedicato un servizio il quotidiano spagnolo 'Marca', che lo ha intervistato mentre sta «pescando un po' con gli amici» nel suo Paese, dove è tornato a trascorrere le vacanze.

L'ANTI-BECKHAM - La sua vita però è ormai in Grecia, dove è sbarcato anni fa dalla Liga spagnola ed è venerato come fosse un eroe dell'Iliade, catapultato da un verso di Omero dentro un campo di calcio. «Al Real Madrid non mi sentivo a mio agio, c'era troppo glamour. Ricordo che un giorno mi stavo allenando con Beckham e compagnia, ma eravamo seguiti da tre telecamere speciali perché stavano realizzando uno spot. Ecco, questo a me non stava bene: io sono un uomo del popolo. Amo le città piccole, senza traffico e concepisco il calcio in un altro modo. Giocare lì è stata comunque una grande esperienza e ho conosciuto persone fantastiche come Zidane: un tipo sincero, un grande dentro e fuori dal campo». Con il Real ci fu anche qualche screzio in seguito, quando passato al Celta gli fu impedito di sfidare la sua vecchia squadra: «Questa è una 'cláusula del cagazo'» affermò in conferenza stampa prima di chiamare Mijatovic. «Ma se giochi una grande partita e perdiamo uccidono me e tutta la dirigenza», fu la risposta dell'allora direttore sportivo 'blanco'.

UNA STRADA IN SUO NOME - Passione e carattere, due qualità che lo hanno fatto entrare nel cuore dei tifosi greci anche se nei cinque anni vissuti con la maglia del Paok, prima di chiudere la carriera nello Xanthi, non ha alzato alcun trofeo. Un amore d'altri tempi e immortalato dalla strada che gli è stata intitolata a Arnaia Halkidiki, un paesino vicino a Salonicco. Un amore contraccambiato, tanto che ormai la Grecia è casa sua e lì si è fermato a vivere. «Mi sento completamente identificato con questa gente per come vive questo sport: con passione, con il fuoco dentro». E poco importa se per ora allena solo la seconda formazione del suo vecchio club dopo aver vinto l'anno scorso il campionato con l'Under 17: «Non ho fretta di guidare la prima squadra. Sono un uomo paziente e voglio accumulare esperienza. Senza ansia». Già, senza ansia. All'insegna dello 'slow foot'.

 


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