Vlahovic, il migliore dei nove possibili

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Cristiano Gatti
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Se Sanremo sta diventando un ufficio postale, con tutta questa fregola di scrivere lettere, due righe può legittimamente mandarle anche Vlahovic a Firenze. Non sono neanche tanto confidenziali e riservate. Grosso modo, il contenuto del messaggio è di dominio pubblico, neanche l’avesse letto all’Ariston: ci ho messo del tempo, pure troppo, d’altra parte la pubalgia e tutto il resto non passano alla velocità di uno starnuto, però ci tengo a rassicurare, per l’appuntamento di domenica sono pronto, ci sarò e neanche tanto lontano dal mio cento per cento, non vedo l’ora, statemi bene e dormite preoccupati.

Ricompare Vlahovic

Alle volte, le coincidenze: Vlahovic ricompare improvvisamente tra i viventi, dopo lunga e reiterata latitanza, due gol a Salerno con pagella adeguata al cognome, e subito il calendario gli mette sotto i piedi la più carogna delle partite. Ma sì, Juve-Fiorentina, l’eterna tiritera dei veleni, degli insulti, dei colpi bassi, lui ultimo affare sanguinoso di mercato, giusto un anno fa, precisamente il 28 gennaio 2022, giorno del suo 22esimo compleanno. E prima di lui Chiesa, e prima ancora Bernardeschi, e prima ancora Chiellini, e prima e prima, risalendo fino a Roberto Baggio, sempre con la stessa trama standard e lo stesso format hard, rivolte di piazza e promesse solenni, pianti di popolo e giuramenti rimangiati, scritte sottocasa e cartelli definitivi (“Firenze città degobbizzata”), in un romanzo picaresco di cui nessuno riesce a intravedere una fine. Con Vlahovic uguale, psicodramma collettivo e poi addio, però stavolta sarà l’ultima, come sempre, dopo di lui nessuno mai più alla Juve, nemmeno morti, piuttosto li si regala al Poggibonsi. Salvo eccezioni, salvo offerte irrinunciabili, salvo ricominciare da capo: se l’affare è buono per tutti. Campanili, rivalità, rancori: non c’è niente che aiuti a superare come aiutano i bonifici.  

Il migliore dei centravanti possibile

Che Vlahovic torni Vlahovic proprio a cinque giorni dall’acido ritrovo torinese assume così la sembianza di un destino ineluttabile. Di fatto il serbo s’era preso l’aspettativa dalla Juve e dalle prime pagine il 25 ottobre, 70 minuti col Benfica in Champions. Da allora, tra voci di pubalgia e processi per l’impiego al Mondiale con la Serbia, s’è di fatto trascinato fino alla settimana scorsa. Qualcosa col Monza, qualcosa in più con la Lazio in Coppa Italia, quindi Salerno: marcia di avvicinamento perfetta, sembra studiata, tutto a bolla per domenica con la Fiorentina. Neanche a farlo apposta. Però va sbaraccata sul nascere qualsiasi forma di bacchettona ipocrisia: tutto questo fa solo bene alla serie A. Un vaccino contro il piattume e la monotonia. Di Juve-Fiorentina ce ne vorrebbe una alla settimana (anche se prefetti e celerini non sono poi così d’accordo). Se non blocca l’Autosole, se si carica solo di feroce goliardia, resta la partita più salace e puntuta d’Italia. Anche più dei derby. Perché in definitiva, a parte gli affari e i tradimenti e le fatwe di curva, si ritrovano a confronto i due estremi d’Italia e dei tipi italiani: il garbo affettato di Torino contro i berci accentati di Firenze, il soft contro il rock, il grigio contro il rosso, i Beatles contro i Rolling Stones. Che stavolta si rimetta di mezzo Vlahovic non toglie nulla, men che meno tranquillità alla giornata, piuttosto aggiunge e riqualifica. Magari se n’erano tutti scordati, ma nell’anno di Osimhen, Vlahovic resta con Osimhen il migliore dei centravanti possibili: almeno in Italia, dove non è che sbuchino fenomeni da tutte le parti. 


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