Mazzarri cambia le cose in difesa: il piano del Napoli anti Juve

La squadra subisce troppi gol e fatica ad alzare i ritmi di gioco: così il tecnico corre ai ripari
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Da qualche parte bisognerà pur (ri)cominciare, per non ritrovarsi seriamente dentro a un tunnel, senza un filo di luce: l’Allianz Stadium è una tappa, la prossima, ma la missione di Mazzarri è più ampia, conduce tra le stelle, perché di questo pazzo, pazzo semestre, in cui le logiche sono finite sottosopra, qualcosa è rimasto e altro ancora va costruito. La Champions League è un affare enorme, gigantesco, racchiude in sé prestigio e danaro, è un universo che trascina in un’altra vita, meravigliosamente bella e fascinosa: e per starsene tra le stelle, ma pure nel luccichio degli euro, Torino è un appuntamento e il Braga, a seguire, diviene l’epicentro. Però si procede per step e si parte da lì, da quella sfida divenuta la «Madre di tutte le partite», in cui va tutelato il quarto posto, insidiato dalla Roma che sta al fianco, dalla Fiorentina e dal Bologna che stanno alle spalle, da quel venticello calunnioso che inquieta e spettina i capelli. Juventus-Napoli, cioè Allegri-Mazzarri, o anche varie cose messe assieme: la presa di Torino (31 ottobre 2009, dal 2-0 bianconero al 2-3) nel suo primo anno partenopeo, l’emozione di quel tempo e anche di questo, che gli appartiene ancora lateralmente, e gli input che arrivano dal campo.

Napoli, i numeri della difesa

Sette gol in 180 minuti - e vabbè che c’erano Real Madrid e Inter di fronte, toglierebbero non solo le giacche da dosso ma pure la carne, che brucia: una mossa, (la prima?), va indirizzata là dietro, in quella fase difensiva claudicante, nella pastosità di coperture preventive e di equilibri smarriti, nella difficoltà di letture che appartengono a chiunque, ai centrocampi e pure ai difensori. Il Napoli di Spalletti, il termine di paragone più “devastante”, ne prese 28 in 38 partite (con una media di 0,73), quello che Mazzarri ha ereditato da Garcia sta già a 17 in 14 (che fa 1,21) portandosi appresso gli stessi errori, racchiusi tra le linee, nella postura della mediana, in quei buchi che si aprono dietro ad Anguissa, a Lobotka e a Zielinski (o ad Elmas). 

Napoli, il ritmo è basso

E poi c’è l’orologio, una volta espressione d’un meme, che scandisce la crisetta d’identità attuale: il Napoli va sotto ritmo, quando lo cerca e lo trova si sgonfia, dura sempre meno di quanto dovrebbe (un’ora o giù di lì, anche a Bergamo quando poi ha vinto ma soffrendo) e dunque s’allunga, concede il campo, va in sofferenza. Mazzarri è arrivato virtualmente a Napoli il 14, s’è presentato fisicamente il 15 ed ha trovato otto calciatori, essendo gli altri in giro per il Mondo con le proprie Nazionali, ha potuto allenarli una volta prima di affrontare l’Atalanta, due in preparazione del Real Madrid, tre per avvicinarsi all’Inter: alla Juventus può dedicare più tempo, mica poi tanto, quattro sedute, un cocktail utile per aggiungere qualcosa di suo, dentro un calcio nuovo, che però sappia di lui. I cronometri, e gli allenatori lo sanno, possono diventare impietosi.


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