Napoli, passioni tristi

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Napoli, passioni tristi© FOTO MOSCA
Alessandro Barbano
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Tagsnapoli

Cinque sconfitte, diciassette punti in meno dell’anno scorso, lo scudetto già virtualmente staccato dal petto, il futuro nebuloso quanto mai, la stessa qualificazione in Champions in discussione, ma una sola certezza: Osimhen è sempre Osimhen. Almeno lui. Riceve due soli palloni davvero giocabili in novanta minuti: il primo lo serve su un piatto d’argento a Kvara che lo getta alle ortiche, il secondo lo mette in porta con un tocco vellutato dopo un anticipo su Szczesny. Se non è questo un centravanti in salute, che cos’è? Intendo dire che è il gioco del Napoli, attorno al suo fuoriclasse, che si è fermato. Vediamo perché.

Primo: non si può attaccare su una sola fascia, peraltro quella storicamente secondaria. Il Napoli lo ha fatto per tre quarti di gara con Politano e Di Lorenzo, agevolando il contenimento difensivo della Juve. Perché a sinistra l’assenza di un esterno ha trasformato la doppia marcatura bianconera di Kvara in una camicia di forza. Tutte le volte in cui Natan non ha passato la palla indietro, come per disfarsi di un oggetto ingombrante, se n’è disfatto cedendola in ritardo al georgiano cinturato alle spalle dai marcantoni di Allegri. Ci sono voluti settanta minuti per comprendere che il giovane brasiliano non è un centrale adatto per la serie A e non è neanche un esterno. Quando è entrato il giovane Zanoli, in pochi secondi la musica è cambiata. Ancorché tardi, troppo tardi. Perché il giovane rincalzo rientrato dalla Samp ha dimostrato di avere gambe e testa per meritare la maglia, finalmente spingendo sulla fascia come deve fare un terzino e togliendo dai piedi di Chiesa una palla pericolosissima.

Secondo
: la copertura sulle palle alte in difesa è allo stato una preghiera al padreterno. Perché se si fa la zona, bisogna andare incontro al pallone e saltare per prenderlo. Se si gioca a uomo, bisogna agganciare l’avversario e infastidirlo, almeno impedendogli di staccare in beata solitudine, soprattutto se l’avversario, come Gatti, ha dieci centimetri in più di altezza. Invece i difensori azzurri non praticano né la zona né la più tradizionale copertura corpo a corpo. Si limitano a guardare l’avversario che stacca, tenendosi alla debita distanza. Neanche fossero aiutanti dell’arbitro!

Terzo
: c’è un evidente deficit di preparazione, che si salda a un’evidente crisi di fiducia. È un Napoli delle passioni tristi, che soffre e fatica, ma non si diverte a giocare, non si esalta negli scambi veloci, non trova la lucidità dell’ultimo passaggio, non ha il baricentro giusto del tiro. Se vuoi capire qual è la condizione psicofisica di una squadra, ti basta vedere quante palle i tiratori appendono al cielo da buona posizione. Il Napoli ha dato prova ieri con Lobotka e Kvara che il suo baricentro fisico e mentale semplicemente non c’è.

Quarto
: questa squadra non ha rincalzi nei ruoli scoperti. Ha due centravanti di riserva di buona qualità. Ma il primo, Raspadori, è costretto a giocare in ruoli non suoi, quando invece l’unico ruolo in cui sarebbe davvero a suo agio è già coperto dall’asso nigeriano. L’altro, Simeone, è costretto a guardare la gara dalla panchina. Nei ruoli scoperti non ci sono alternative. Vale per l’esterno sinistro, vale per l’ala destra. Finché Olivera e Mario Rui sono out, varrebbe la pena di insistere con Zanoli. Bisogna guardarsi in faccia e parlarsi chiaro. Questa squadra rischia di restare fuori dal calcio che conta, trasformando lo scudetto in un azzardo pagato troppo caro. C’è bisogno di un ottimo psicologo motivatore, che ricostruisca le ambizioni azzurre con il realismo che la classifica e il gioco fin qui visto impongono, e prepari la squadra a prendersi ciò che le spetta, cioè a salvare il salvabile. Al punto in cui si è giunti sarebbe un ottimo risultato


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