«Il tifoso romanista deve augurarsi che Monchi resti alieno a Trigoria il più a lungo possibile, di sicuro per i prossimi quattro anni. Che vuol dire, consapevole di quanto gli sta attorno, rumori osceni di fondo inclusi, ma così forte, sicuro di sé e sprezzante da passarci sopra. Come un tank, come una farfalla. Il nodo è venuto al pettine. E il nodo si chiama Totti. Tutto il resto, da almeno sei anni in qua, è conseguenza diretta e indiretta. In campo e fuori. Il puntuale tritacarne di allenatori e dirigenti, la mancata crescita dei giocatori, le guerre di religione tra tifosi, la fede per la squadra contro l’idolatria per il calciatore, la barbarica strumentalizzazione dei media. La Roma contro Totti. Totti contro la Roma. Il Grande Tappo. Lo Scacco. Il Cul de Sac. La Roma se ne sta lì, chiodata, nella sua croce. Il nome di Totti le impedisce di crescere, di respirare. Di pensarsi altro e altra.
Totti, chi per lui, ha smesso da un pezzo di essere il nome paradigmatico dell’epopea giallorossa, trasformatosi in un bisillabo ossessivo, troppo facile da evocare, usato a martello in ogni occasione contro la Roma. Ma come? Scellerato! Diranno i più eleganti. Brutto stronzo!, tutti gli altri. Te la prendi con il Capitano invece che con l’Americano o lo Spalletti, il Baldissoni di turno, prima di lui Sabatini, Baldini, Garcia, Enrique, eccetera? Naturalmente, replico alla massa fessa, non me la prendo con nessuno. Racconto solo una storia interessante. Da tifoso mi dispiaccio. E anche tanto».