Ecco la mia provocazione: date la Roma a De Rossi

Ecco la mia provocazione: date la Roma a De Rossi© LAPRESSE
Giancarlo Dotto
3 min

La mia soluzione? Solo una. Dare a Daniele De Rossi, subito, qui e ora, la responsabilità morale, psicologica e tecnica della squadra. Come giocatore in campo e tutore ovunque. Se non è la panchina (serve un prestanome? Trovatelo), lo spogliatoio, i viali di Trigoria, i tavoli comuni, i cellulari e le case private di ognuno dei suoi compagni. Qualcosa tra il fratello maggiore e gli angeli del cielo, in questo caso sopra Roma, di Wenders.

Chi più di lui sa ascoltare i battiti segreti di Trigoria? Innamorato di questa maglia, ora spetta a lui, solo a lui, proteggerla e guidarla. Daniele dovrà infondere in tutte le fessure della casa che frana tutta la positività, tutto l’essere romanista di cui dispone, nemmeno lui sa quanto grandi. Ha il carisma che serve. L’ascendente verso i compagni, tutti, nessuno escluso. La credibilità verso i tifosi. La stima di tutto il mondo del calcio. Dal romanista più sofisticato a quello più viscerale, la fiducia e un’apertura di credito illimitato. Da qui al Milan due giorni, ma bastano cinque minuti.

Un gruppo così bastonato e umiliato ha una sola chance: compattarsi in modo feroce, pescando in tutti i mari possibili, i valori, la dignità, l’orgoglio individuale e collettivo. Trasformarsi in una sporca dozzina, diventare mucchio selvaggio, ritrovarsi corpo collettivo e anche un po’ mistico dopo essersi liquefatti come corpo individuale. Solo Daniele può trainare quest’azione catartica. Già da mercoledì sera, il tema doveva essere solo uno: chi dopo Di Francesco? Monchi ha deciso di insistere, di non cedere all’«umiliazione più grande della mia vita».

Una Roma immiserita dalle scuse, il comodo e insopportabile rifugio delle persone che non sanno affrontare la realtà. «Non mi dimetto!». Ha detto Di Francesco. Dimetterti o no non è più da mercoledì sera un’opzione, non sta più nel campo delle scelte private. Le tue dimissioni sono scritte, nel testo sacro della tifoseria ferita. Non dipendono da te, né da Monchi o Pallotta. Come fai a non capirlo? Come fai a non sentirlo?

«Dobbiamo decidere a mente fredda…». Così Monchi. La mente fredda non può che confermare e rafforzare quello che ha già appreso la mente calda. L’aver toccato un punto di non ritorno. Infine. E se l’improbabile appello a De Rossi di un Illuminato tra Trigoria, Londra e Boston non arrivasse? Se lui non si sentisse ancora pronto? Io dico via libera a Paulo Sousa, ragazzo serio, che sa molto di calcio. La voce giusta. Gli manca solo un pizzico di empatia, ma è intelligente e sa come si fa. L’oscena pigrizia del pensiero virale di massa lo boccia senza scampo. Nessuno sa bene perché.


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