Pagina 3 | Vince tutto e subito: Enzo Ferrari è il mito

La storia della scuderia migliore e più affascinante della storia: quando il Drake compie 50 anni, arrivano i successi in F.1 con Ascari e Fangio e nell’Endurance Poi Niki Lauda e l’epopea legata a Schumacher

Enzo Ferrari è Enzo Ferrari, okay. Ma, sia chiaro, avrebbe amato anche scrivere di cronache sportive, il suo primo sogno rimasto nel cassetto. Chissà, fosse stato per lui, appassionato e longevo, si sarebbe posizionato per quasi un secolo a scrivere prima cronache e poi elzeviri per il Corriere dello Sport. Ma invece le cose vanno diversamente e va bene anche così. Enzo Ferrari ha gli stessi anni del ’900 più due, essendo nato nel 1898 e, proprio come il secolo breve, vive e fa nascere i motori più epici e vittoriosi mai concepiti. Prima da pilota e poi da dirigente e infine, da costruttore indipendente. In un’epopea che lo vede debuttare in gara da corridore, come si diceva al tempo, alla Parma-Poggio di Berceto nel 1919 su una CMN 3000. Poi correrà per l’Isotta Fraschini e quindi approderà all’Alfa Romeo, il suo grande amore: appunto, come la chiamerà lui, “Mamma Alfa”. Come pilota è bravo, anche se non irresistibile. Vince nel 1923 al Circuito del Savio, a Ravenna, e per l’occasione la madre dell’aviatore medaglia d’oro Francesco Baracca gli dona idealmente lo stemma del figlio pianto in guerra, il Cavallino Rampante, simbolo che diventerà coeterno al Drake e alle sue creature.

Ritiro e svolta

Mentre nasce il Corriere dello Sport, Enzo Ferrari è ancora al volante, da racer, ma non per molto. Nel 1932, anno in cui nasce il figlio Dino, si ritira dalle competizioni e inizia la sua infinita carriera di “agitatore di uomini”. Concessionario dell’Alfa Romeo per l’Emilia Romagna e per le Marche, già nel 1925 apre a Modena un’autorimessa con officina per riparazioni e assistenza alle vetture. E nel 1929 vede la luce la Società anonima Scuderia Ferrari, per ora solo una bandiera sotto cui gareggiare, senza ambizioni costruttive. La Scuderia ha sede a Modena e fa correre con vetture Alfa Romeo una girandola di campioni di prim’ordine quali Nuvolari, Varzi, Campari, Borzacchini e tanti altri. Addirittura nel 1937 l’Alfa Romeo decentra a Modena la progettazione e la costruzione della nuova monoposto Tipo 158, dotata di un motore di 1500 cm3 con compressore, cioè l’Alfetta che nel dopoguerra vincerà due campionati mondiali di F.1. È la svolta: Ferrari non è più solo un gestore ma vanta un micropolo che può costruire macchine da corsa destinate al mito. La Scuderia Ferrari nel 1938 viene assorbita dall’Alfa Corse della quale Enzo Ferrari è ora direttore e responsabile agonistico ma già nel 1939 egli abbandona la società milanese, perché vuole campo libero e indipendenza. Poi c’è la Seconda Guerra Mondiale e la sua unica vittoria è sopravvivere. Nel 1940 con Alberto Massimino progettista, era nata la Auto Avio Costruzioni, visto che per contratto il nome Ferrari non poteva essere usato, per un periodo che ora chiameremmo di “gardening”. Infine, il 12 marzo 1947 muove i primi passi la prima vera Ferrari, la 125 S, simbolicamente guidata da Enzo Ferrari medesimo, destinata a diventare l’origine del mito, oltre che la prima della specie. Tempo due mesi e arriverà il debutto in gara e la prima vittoria.


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Trionfi

La chiave di tutto, il fascino, la magia, la stordente esemplarietà dell’epopea del Grande Vecchio è proprio nell’essere diventato Grande da Vecchio, a differenza di tutti i suoi rivali di ieri, oggi e domani. Perché quando il Drake sale su quel simulacro di macchina ha quasi cinquant’anni, ne dimostra venti di più, è sovrappeso, pare stanco, praticamente cotto e invece ha gli occhi sognanti e sta per dare inizio a una delle più grandi rimonte rivelatrici nella storia dell’umanità, sportive e non solo. La Ferrari nasce quando il Drake va per 50 anni e vince tutto e subito. In Formula Uno, con Ascari, Fangio, Hawthorn e Phil Hill, ma soprattutto nell’endurance, laddove si annidano le classiche più epiche come la Mille Miglia e la 24 Ore di Le Mans, aggiudicandosi nove dei primi undici mondiali di categoria. A quasi 65 anni, Enzo Ferrari mette Mauro Forghieri a capo del Reparto Corse e in chiave 1962 comincia la parte più esaltante della sua parabola di uomo innamorato delle Corse e dei Motori. Da lì e fino alla fine, passando attraverso il trionfo con Surtees, il lungo digiuno, l’avvento del 12 cilindri piatto, la gioia sfiorata con Clay, la resurrezione grazie a Niki Lauda che poi si brucia, ma come salamandra nel foco si renovella. Quindi il devastante divorzio dall’austriaco, la scoperta dal nulla di Villeneuve, l’esaltazione febbricitante dell’astro canadese, l’alloro di Scheckter, l’ultimo volo sacrificale di Gilles, la rivincita immediata con Tambay, il richiamo di Alboreto, il mondiale sfiorato con Michele, il sogno Barnard, il quasi ingaggio di Nigel Mansell e poi sipario. Chissà, magari con le ultime tazze di latte della vecchiaia magari portate da “Pupo” Moreno mentre a Fiorano collaudava la Ferrari col cambio al volante. Forse più rombi uditi che respirati, con la fine terrena del Drake a metà agosto 1988, ma la poesia resta. Monumentale, voluta, vissuta, centellinata e struggente.


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Rinascita

In un’era - questa - di vecchi non raramente orrendi, a volte volgari, spessi, malvissuti, incapaci d’accettare il tempo che passa, sì, vecchi che spesso si tingono capelli, si segano le pance, si pompettano, si mettono dentature hollywoodiane, s’abbronzano, ballano e sgambettano vestendosi a fiori per sembrar fighi, ma il più delle volte, ancorché ricchissimi, son solo vuoti, tristi e non sanno esistenzialmente che pesci pigliare, la figura di Enzo Ferrari si staglia ancora, umanamente monumentale, brandendo il volante della sua prima e germinale 125 S come un Re all’interno d’un monumento equestre. E anche come un eterno patriarca in grado di dar vita a una razza padrona, una mandria di cavalli vapore e senza sudore, che torna a vincere in F.1 dopo una lunga parentesi di riposizionamento, nel 1975 con Luca Cordero di Montezemolo nel ruolo che fu del Drake: lui, il ragazzo 27enne che era stato il diesse di rinascita a metà anni ’70 e poi una sorta di cavaliere romanticamente paratemplare, con l’investitura di perpetuare un sogno, facendolo tornare realtà vincente in chiave 2000. Jean Todt in panchina, Rory Byrne progettista, Ross Brawn responsabile in pista e, udite udite, il nuovo astro della F.1 Michael Schumacher (ex Benetton come quasi tutta la nuova truppa Rossa), al volante. Nel ruolo di grande catalizzatore.


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Identità

La nuova Ferrari, la prima Ferrari davvero vincente e mondialmente dilagante del dopo Enzo, dopo quattro anni di formazione e crescita, sbanca la F.1 aprendo un ciclo, quello del Kaiser Schumacher. Sotto il cui regno arrivano cinque mondiali Piloti e sei Costruttori, dal 1999 al 2004. Con il bonus iridato del 2007 di Kimi Raikkonen, il quale corre ancora nel sistema oliato da Schumi, con un 2008 che meriterebbe l’iride Piloti con Massa, ma si deve accontentare solo del mondiale Costruttori. E poi tanti anni di tentativi, a volte più calibrati altri meno, ma con una vittoria iridata che latita, all’interno di un nuovo travaglio alla ricerca di un’identità. Così è la vita. Identità che però magicamente torna all’interno delle gare di durata, laddove, dopo uno iato di mezzo secolo la Casa del Cavallino torna da protagonista. Andando a vincere dal 2023 e per tre volte consecutive la grande classica della 24 Ore di Le Mans, la prima che l’aveva consacrata internazionalmente forte e segnante, nel 1949 con Chinetti e Seldson come piloti. Passano i secoli, si scavalcano millenni, ma la Ferrari è ormai un eterno simbolo di Rosso e lusso, Velocità e cuore da corsa, che fa sognare e quando e dove può, vince. Una cronaca infinita di passione che diventa cultura, senza smettere d’essere materia calda, di sogni minuziosamente raccontati come realtà. Tale e quale, a modo suo, alla storia centenaria del Corriere dello Sport.

 


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Rinascita

In un’era - questa - di vecchi non raramente orrendi, a volte volgari, spessi, malvissuti, incapaci d’accettare il tempo che passa, sì, vecchi che spesso si tingono capelli, si segano le pance, si pompettano, si mettono dentature hollywoodiane, s’abbronzano, ballano e sgambettano vestendosi a fiori per sembrar fighi, ma il più delle volte, ancorché ricchissimi, son solo vuoti, tristi e non sanno esistenzialmente che pesci pigliare, la figura di Enzo Ferrari si staglia ancora, umanamente monumentale, brandendo il volante della sua prima e germinale 125 S come un Re all’interno d’un monumento equestre. E anche come un eterno patriarca in grado di dar vita a una razza padrona, una mandria di cavalli vapore e senza sudore, che torna a vincere in F.1 dopo una lunga parentesi di riposizionamento, nel 1975 con Luca Cordero di Montezemolo nel ruolo che fu del Drake: lui, il ragazzo 27enne che era stato il diesse di rinascita a metà anni ’70 e poi una sorta di cavaliere romanticamente paratemplare, con l’investitura di perpetuare un sogno, facendolo tornare realtà vincente in chiave 2000. Jean Todt in panchina, Rory Byrne progettista, Ross Brawn responsabile in pista e, udite udite, il nuovo astro della F.1 Michael Schumacher (ex Benetton come quasi tutta la nuova truppa Rossa), al volante. Nel ruolo di grande catalizzatore.


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