È più di un ct?
«È una figura rilevante. Oltre a essere un allenatore, è un formatore di persone. Ci insegna a battagliare in ogni situazione, ad adattarci qualsiasi cosa accada. Queste cose non le perdi durante la vita, diventano parte di te».
Lei aveva già buoni riflessi?
«Ero più portato per i riflessi, sì, ma ci ho lavorato. Altri avevano maggiore elevazione. Di un difetto ho fatto il mio punto di forza. Mio fratello Andrea giocava portiere, ma a calcio. Io laziale, lui romanista. Purtroppo il derby non l’ho visto. Una volta provò a darmi consigli. “Lascia stare che non sai nulla di pallanuoto”. Fa l’architetto nello studio di papà».
Lei cosa vorrebbe fare dopo?
«Sono laureato in Scienze delle Attività Motorie e sportive. Mi piacerebbe allenare o intraprendere una carriera da dirigente».
Cosa non le piace del ruolo del portiere?
«Se sbagli si vede, è un ruolo ingrato. Però questo dà un senso di responsabilità in più. E devi avere una concentrazione superiore».
I suoi riti prima di un match?
«Le basi della scaramanzia: non passare il sale, non passare sotto le scale. Ma non sono Nadal che si asciuga il sudore a ogni battuta. Il rituale prima della partite è prendermi un buon caffè».