Di Marzio dentro un foglietto, un ricordo intimo

Di Marzio dentro un foglietto, un ricordo intimo© ANSA
Ivan Zazzaroni
4 min

E poi, all’improvviso, escono di scena. E allora...
Gianni sapeva stare al mondo e amava la vita. Era veloce di testa e scaltro, generoso e riconoscente. Era invidiabile energia. Un giovanotto di ottant’anni. Per lui l’amicizia era una necessità e la reciprocità il più bel valore di un rapporto: a un favore richiesto doveva sempre corrisponderne uno fatto. Era molto napoletano, eppure universale: aveva viaggiato tanto e non solo con la fantasia, il Sudamerica la sua seconda casa, il Centramerica una sorta di dependance, i Mondiali e gli Europei Under 17 e 20 appuntamenti irrinunciabili: se mister Di Marzio non era seduto in tribuna non si cominciava.
E poi era un artista nel senso più completo del termine. Ci conoscevamo da oltre trent’anni, negli ultimi venti la frequentazione era divenuta settimanale poiché televisiva. Napoli la platea più naturale. Gianni era un mostro della diretta. Protagonista di siparietti indimenticabili, aveva straordinari tempi teatrali, battute a effetto e per lo spettacolo si lasciava anche prendere in giro fino a quando decideva che era giunto il momento di intervenire: e allora otteneva la risata e l’applauso del pubblico. Spesso, alla fine della trasmissione, si avvicinava e mi sussurrava: «Ti ho servito bene? Tu ordina, io eseguo...».
Abbiamo condiviso non meno di 400 puntate, sui canali napoletani, 400 lunedì e decine di cene notturne che non finivano mai prima delle due. Gianni sempre al centro, il mattatore cercato da tutti con insistenza.
Adoravo quel suo bisogno di consenso e di riconoscimento pubblico, troppo spesso insoddisfatto: desiderava essere considerato il grande esperto di calcio che effettivamente era: nel portafoglio conservava un foglietto con tutte le cifre e i successi, promozioni e coppe, della carriera di allenatore. Me l’ha mostrato in un paio di occasioni, altre volte ha soltanto finto di estrarlo. Gianni era elegante nel vestire, non sbagliava l‘accostamento di colori. Sapeva essere leggero, ma anche profondo. Trovava sempre una buona ragione per deformare, abbellendola, la realtà. Viveva degli altri. Si arrabbiava soltanto quando qualcuno si appropriava della “primogenitura” della scoperta di Maradona o, più recentemente, di Mbappé, del quale mi aveva parlato su un Napoli-Roma quando il francese giocava ancora nelle giovanili del Monaco.
Napoli lo emozionava. A inizio novembre mi aveva segnalato che all’interno della stazione della Cumana, Umberto De Gregorio, autore del murale “Forza Napoli Sempre”, l’aveva piazzato tra Pesaola e Savoldi: «Se potessi pubblicare un articolo sul tuo Corriere te ne sarei grato, per me è una soddisfazione enorme». Cinque giorni fa gli ho chiesto il numero inglese di Claudio Ranieri, per lui un fratello minore, e in meno di un minuto me l’ha girato aggiungendo le immancabili parole d’affetto.
Gianni è stato e resterà di Napoli, ma anche di Catania e di Catanzaro, e di Padova dove aveva deciso di fermarsi. Ha lasciato un pezzo di sé in tutti i luoghi in cui ha lavorato e immagino che domenica 30, quando Catania e Catanzaro si affronteranno in campionato, lui sarà in campo.
Ieri, controllando gli ultimi messaggi che ci siamo scambiati su whatsapp, sono rimasto colpito dall’orario del suo ultimo accesso: otto minuti dopo la mezzanotte di venerdì, l’ultima notte, per un istante ho pensato che sapesse che di lì a poco avrebbe lasciato “Tucci”, la moglie che amava immensamente, era la sua guida, Gianluca, il suo opposto e il suo orgoglio, la nuora e i nipotini.
L’addio a Gianni s’accompagna per forza con note di letizia, ne produceva a iosa. Ma nel contempo ferisce perché - ci crediate o no - era una di quelle persone delle quali v’immaginate l’immortalità. Oh, non quella sacra dei santi, dico quella semplice, fatta di tanti domani, domani, Gianni, domani…


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