Ancelotti, il difficile viene prima

Leggi il commento alla scelta del tecnico emiliano di legarsi al Brasile
Ancelotti, il difficile viene prima© ANSA
Cristiano Gatti
4 min

Abbiamo appena spinto in mare l’Amerigo Vespucci per fare i pavoni in tutto il mondo, ma un italiano corteggiato, blandito, ben pagato dai brasiliani per insegnare calcio ai brasiliani è qualcosa che alza di almeno una spanna l’asticella del made in Italy. È vendere frigoriferi agli eschimesi. Tocca a Carlo Ancelotti, come si diceva da mesi, e come hanno pubblicamente annunciato i brasiliani stessi, non si capisce bene se facendolo felice e creandogli almeno un anno di grane rognose. Resta l’avvenimento: per essere ancora il Brasile, il Brasile si consegna a un allenatore italiano, peraltro uno che vince facile, che vince sempre, che vince ovunque. Che vince tutto. La vera novità, rispetto a quello che tutti sapevano, è questa fretta dell’annuncio. Il calcio per i brasiliani è prima di tutto arte e fantasia, a quanto pare lo è anche in faccende di panchina: liberi da regole e schemi fissi, da consuetudini e accorgimenti prudenziali, hanno candidamente presentato il nuovo ct Diniz, dicendo però chiaro e tondo che sarà ad interim, un anno, e poi onoratissimi di avere il grande Ancelotti. Dettaglio a latere: prima, Carlos deve sciropparsi ancora una stagione in Spagna, come da contratto. Il che, nonostante sia l’equilibrato, flemmatico, umanissimo Carletto, con queste premesse non si annuncia come la più lineare e la più riposante delle annate, anche perché nella stanza di sopra c’è pur sempre un presidente come Florentino Perez, non proprio un francescano.

Ancelotti, i rischi che corre in Brasile 

Per chi conosce un po’ le atmosfere, le abitudini, le posture del calcio – tutti – è facile immaginare in quale prospettiva vada a ficcarsi il futuro ct del Brasile, in scadenza e in uscita al Real Madrid. Basterà un paio di 0-0 in provincia, o una sberla nel derby con l’Atletico, perché anche l’amabilità e la popolarità di Ancelotti finiscano arrostite sulla graticola delle voci popolari, quelle che dalla curva pretendono sempre dedizioni assolute, baci alla maglia, patti d’onore al vago aroma dell’eternità. Come se nel calcio esistesse il per sempre. Dopo tutto, il futuro più misterioso e più avventuroso che aspetta Carletto non è quello a partire dal 2024, là dove hanno scritto la grande storia i Pelé e i Garrincha, là dove hanno vinto più Mondiali di tutti (5), ma quello che lo aspetta da domani, qui, adesso, in Europa, a Madrid. Nel calcio, ma in tutto il mondo del lavoro, c’è un’affollata casistica di gente che firma per altri mentre ancora è in organico: ma queste sono le classiche cose che si fanno e non si dicono. Diverso il caso di un Ancelotti pubblicizzato dal Brasile un anno prima. Molto diverso. La certezza è che da parte sua procederà come se niente fosse, perché un grande allenatore e una persona seria non lavorano mai da congedanti, con un piede di fuori, contando i giorni e scalandoli annoiati dal calendario (una volta detta stecca). Carletto non è tipo da tirare a farsi esonerare per liberarsi prima, ha una storia e una reputazione che vengono prima dei giochetti. Ma il rischio di essere additato come estraneo, ospite, ad interim pure lui, peggio ancora mercenario, bisogna dirlo, appare molto fondato. Il contratto a termine non è il massimo da nessuna parte, men che meno lo è nel calcio. Può diventare un incubo. Una dorata crociera all’inferno. Anche per un carattere-zen come il suo. Se alla firma di un nuovo incarico si è soliti dire il difficile viene adesso, nel suo caso il difficile viene prima.


© RIPRODUZIONE RISERVATA