Pjanic esclusivo: "Allegri e la Juve, De Rossi e Dybala: vi dico tutto"

Il centrocampista bosniaco, oggi play dello Sharjah a Dubai, parla del suo passato in bianconero e nella Roma: cos'ha detto
Jacopo Aliprandi
10 min

La Roma è il primo amore. «E resterà tale, l’amore più vero», precisa Miralem Pjanic, 34 anni il 2 aprile, oggi play dello Sharjah, a Dubai. La Juve un’infatuazione, il passaggio al Barcellona un errore grave: «Se avessi saputo della crisi finanziaria che stava attraversando non sarei andato, visto che avevo ricevuto altre offerte importanti. Il Barça era il mio sogno, aggiungo che Koeman non era all’altezza di un club così prestigioso». Pjanic non sfugge all’assedio della memoria e ci sorprende: «Ho un rimpianto, non aver vinto la Champions con la Juventus. Anzi, i rimpianti sono due: non aver giocato nel Milan, l’ho sempre trovato affascinante».

Come si sta a Dubai?
«È stata una piacevole sorpresa, sia per la qualità della vita sia per quella del calcio. La mia famiglia è contenta e questo mi basta. Il livello del campionato è buono, non è l’Europa, ma qui ho un ruolo importante nel mio club e sto aiutando i più giovani a crescere. Nei giorni scorsi abbiamo vissuto anche il dramma dell’alluvione. Ci siamo spaventati, non è stato semplice affrontare quell’evento così anomalo, il caos in città e nel Paese. Non aveva mai piovuto così tanto, e con quella intensità poi: tutta colpa del cambiamento climatico. Ma questa è una città davvero incredibile: un giorno è in ginocchio, il giorno dopo è come nuova».

Giocare negli Emirati non dev’essere molto stimolante.
«Quello che più mi manca sono i tifosi europei. L’adrenalina degli stadi che mettevano una grande pressione. Qui ho portato la mia esperienza, sono nel posto giusto».

E a luglio?
«Posso decidere se attivare l’opzione per un altro anno di contratto. Devo riflettere, vedremo se ci saranno offerte dall’Europa. Di certo ho ancora voglia di giocare, sto bene, mi alleno forte e sono motivato. Ammetto che l’Europa mi manca».

Dall’Europa all’Europeo, un obiettivo sfumato nei playoff.
«L’ultimo sogno che volevo realizzare con la mia Bosnia, non meritavamo di passare, visto il pessimo girone fatto. È stata una grande delusione. Il mio è stato un bel percorso, ma non credo che continuerò con la nazionale. Sto ragionando molto su questo aspetto. Sono stati sedici anni bellissimi, il punto più alto il Mondiale in Brasile. Ma è il momento di voltare pagina».

A giugno c’è l’amichevole tra la Bosnia e l’Italia del “suo” Spalletti.
«Mi farebbe piacere ritrovarlo, vediamo. Luciano è un tecnico strepitoso, sono contento di vederlo ct della Nazionale. L’Italia si riorganizza con i tanti giovani che stanno emergendo. La certezza di questo gruppo è proprio quella di avere un grandissimo allenatore che ha fatto magie con il Napoli e adesso mette bene in campo la squadra e le sta dando idee interessanti. Sono certo che farà bene all’Europeo».

Il Napoli è passato per poco tempo a un altro allenatore che lei conosce bene.
«Non è stato uno scherzo per Garcia. Onestamente dopo uno scudetto non lo sarebbe stato per nessuno. Rudi aveva tanta pressione, Napoli è una piazza favolosa e al tempo stesso difficile: l’ambiente voleva dei risultati immediati e non sono state rispettate le aspettative di inizio stagione. Con Spalletti hanno giocato un calcio favoloso, sostituirlo non sarebbe stato semplice per nessuno».

Napoli resta una piazza intrigante.
«Assolutamente, e per qualsiasi giocatore. Avevo avuto qualche contatto in passato, ma non siamo mai andati fino in fondo. Sarebbe stato bellissimo giocare a Napoli, è un posto strepitoso. Il sentimento che i tifosi hanno per la squadra è incredibile, come a Roma dove ho trascorso cinque anni indimenticabili».

Poi però ha deciso di andare via.
«Questo è il calcio. Sono rimasto cinque anni, ma già in precedenza avevo rifiutato tante opportunità. La Juventus mi voleva già alla fine del terzo anno, rifiutai perché sentivo di dover dare ancora qualcosa, volevo provare a vincere con la Roma. Non ci siamo riusciti, così ho deciso di provare altro. L’ho fatto soffrendo, ma sapevo che quella era la decisione giusta. Mi cercava anche il Psg, sono andato alla Juve e non ho rimpianti. La Roma comunque resterà sempre nel mio cuore. A proposito, glielo dico subito: non avevo alcun dubbio su Daniele».

Lei non è il primo che lo dice.
«Ho trascorso con lui cinque anni e mi aspettavo di ritrovarlo un giorno in panchina. Sono felice, è un amico e gli voglio bene. Sta mostrando il suo calcio e sono contento del rinnovo. Ora arriva il difficile: riuscire a mantenere questo livello. Lui lo ripete sempre: questo lavoro è favoloso, ma è da pazzi tra studio e pressioni. Daniele conosce la piazza, sa gestire bene l’ambiente e anche la stampa. Lo sento parlare, ci sa fare».

Nello spogliatoio aveva un peso rilevante.
«Il primo difensore di ogni compagno di squadra. Se c’era qualcuno che parlava male di te, lui era sempre pronto a proteggerti. Da leader. Ed era il primo ad alzare la voce quando serviva, e così è anche da allenatore. Trova sempre le parole giuste. Sa meritarsi il rispetto dello spogliatoio. Ho avuto due fuoriclasse alla Roma: Totti era il leader tecnico, faceva magie in campo, De Rossi quello politico, lo definisco così. Mi ha sostenuto anche in un momento complicato alla Roma».

Quale? Quando?
«Ho avuto difficoltà con Zeman, non mi vedeva. E in un primo momento non faceva giocare neanche Daniele. Ma lui mi ha difeso e tranquillizzato. “Ma come fa a non capire quanto sei forte e utile in campo?”, diceva. Insomma, mi ha aiutato a superare il momento negativo. Non ero abituato a non giocare, e a un calciatore basta un attimo per cadere in una crisi di fiducia».

De Rossi contro il Milan è stato perfetto.
«Esatto, ha preparato la doppia sfida in modo impeccabile sotto l’aspetto tattico e mentale. Questo perché è intelligente, serio e preparato. Ma anche perché ha avuto tanti allenatori forti da cui ha imparato proprio mentre giocava. Ha preso qualcosa da loro e ha sviluppato un suo calcio. La mossa di El Shaarawy a destra per bloccare Theo e Leao? Sorprendente e perfetta, e avrà ripensato a qualche mossa simile fatta da qualche suo allenatore in passato. Mi viene in mente Spalletti, ad esempio».

Glielo ricorda?
«Non esattamente, Daniele sta sviluppando un suo tipo di calcio. Diverso dal passato. Lui fa parte di una nuova generazione di allenatori, sta portando qualcosa di personale. Il calcio sta cambiando, ma è chiaro che tragga spunto anche da Spalletti e da altri. Ha il suo stile di gioco con un calcio offensivo e propositivo, ma allo stesso tempo tiene anche la squadra corta e non concede troppo. Daniele ha una sua visione, non copia, trae spunto, perfeziona, completa. E rischia. Mi sarebbe piaciuto averlo come tecnico».

Il Bayer Leverkusen è una bella gatta da pelare.
«Xabi è un altro emergente, intelligente, carismatico, educato. Il Bayer è tosto, ma la Roma può farcela. Il Bayer paga forse l’inesperienza in Europa, la Roma invece arriva da due finali e può trarne vantaggio. Può vincere l’Europa League e qualificarsi in Champions».

L’esonero di Mourinho l’ha sorpresa?
«Supersorprendente, lo ammetto. Anche perché la Roma veniva da un trofeo vinto e una finale europea andata come sappiamo. E la piazza lo amava. Ma il calcio è questo, si dimentica tutto e la società ha deciso così. Perfetta la scelta del sostituto, Mou comunque ha fatto un grandissimo lavoro sul piano della mentalità».

Non se la passa bene nemmeno Allegri.
«È tornato alla Juve dopo che al 99%, e lo so per certo, stava per chiudere con il Real Madrid. Per lui la Juve è importantissima. Tutto quello che è successo al club ha inciso sulle scelte e sulle prestazioni della squadra, per questo mi sembra impossibile attribuire a Max le colpe di un rendimento non sempre esaltante. Allegri rimane Allegri, uno dei più vincenti e tanti club lo vorrebbero in panchina. Ha fatto il massimo fino a questo momento e non penso sia colpa sua se ci sono stati dei periodi negativi. In questi ultimi anni ha perso giocatori importanti».

Dybala, ad esempio.
«E non solo. Ronaldo, Chiellin i, Mandzukic, Bonucci, Buffon. Paulo è uno dei calciatori che più ho amato in campo, tra i più forti con i quali ho giocato. È tra i migliori tre del campionato, è un giocatore stratosferico. Sente il calcio, sa di calcio, ci capivamo a occhi chiusi. Esiste una Roma con Dybala e ce n’è una senza: due squadre completamente diverse. Non solo per i gol, ma anche per le occasioni che crea. I suoi passaggi non sono mai banali, e li fa a occhi chiusi. Per qualità tecniche e talento si diceva la stessa cosa quando la Roma aveva Totti. C’era una Roma con Checco e una senza. Spero che la proprietà faccia di tutto per trattenerlo. Sento spesso Paulo, è molto contento di Roma e della Roma, non faccio fatica a capire».

Chi vince la Champions?
«Il Real Madrid».

E l’Europa League?
«La Roma, spero (ride, ndr). Ho visto l’Atalanta battere il Liverpool, è stata incredibile. Ecco, odiavo giocare contro di loro, era davvero difficile affrontarli: un disastro! Gasperini sta facendo qualcosa di strepitoso e non da ieri».

Si immagina allenatore?
«Studierò per diventarlo. Adesso vedo il calcio alla mia maniera e vorrei trasmetterlo ai giocatori. Il calcio è nel mio sangue, e spero di affrontare un giorno tanti amici prima giocatori e ora allenatori».


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