Il cascatore è universale, ma il calcio è altro: le statistiche incredibili dei falli

Le interpretazioni arbitrali, i protocolli del Var, le urla attira-falli  dei giocatori, le reazioni dei tecnici: gli inganni non hanno confini
Alberto Polverosi
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Nello stesso giorno, per certi versi proprio il giorno ideale, a Gian Piero Gasperini è stato assegnato il premio Bearzot poco prima di vivere una surreale storia di calcio (o, meglio, di “non calcio”). Tutto il mondo conosce il Vecio come l’uomo verticale, che amava il senso puro di questo sport e non le sceneggiate. Gasperini, che gli somiglia per la verticalità (e non si parla di gioco), ha attaccato con forza il calcio di oggi lanciando un’accusa che non può passare inosservata: «Noi italiani stiamo contagiando l’Europa. In questa incertezza di regole gran parte dei giocatori ci sguazzano, si buttano, strillano, fanno sceneggiate solo per rubacchiare e ingannare». In questi giorni il Corriere dello Sport-Stadio ha aperto una linea editoriale a sostegno degli arbitri e anche da qui, da quanto ha detto l’allenatore dell’Atalanta, si può partire. Gasperini era già stato al centro di un caso del genere quando a Firenze accusò Federico Chiesa di tuffarsi al primo leggerissimo, impercettibile contatto con l’avversario. E’ sensibile all’argomento e ha ragione quando sostiene che «questo non è più calcio». Non si capisce quando e come debba inte rvenire il Var, perché se non lo fa per una carezza, ma carezza vera, di Hien a Nilsson, trasformata follemente in rigore, non serve a niente. Se da Lissone non chiamano La Penna per dirgli che quel pallone è uscito di un bel pezzo fuori dal campo, non aiutano l’arbitro e non aiutano il gioco. Anzi, danneggiano l’uno e l’altro. È difficile stabilire se la moda degli urlatori, dei cascatori, dei... falsari del gioco sia nata in Italia o altrove. Anche se non rientra in pieno in questa casistica, ricordiamo sempre il biscotto fra Danimarca e Svezia (poteva finire solo 2-2 e finì 2-2) che mandò a casa gli azzurri nell’Europeo del 2004. Lo ricordiamo per dire che un certo piacere a rendere falso il gioco per girarlo a proprio favore esiste anche nei Paesi non latini. Ora però si sta esagerando da tutte le parti. Se prima ogni squadra aveva un tuffatore, oggi ne ha molti di più. Di questo triste fenomeno ce ne siamo accorti in modo evidente durante il Covid.

Con le tribune vuote e i microfoni a bordo campo si sentivano delle urla terrificanti per un banale contrasto di gioco, urla ingiustificate per l’entità dello scontro che servivano solo per ingannare l’arbitro. Anche gli arbitri, sia chiaro, hanno delle colpe, ma chi consegna loro le regole, cambiandone l’interpretazione ogni anno, chi stabilisce che è comunque rigore un leggero tocco di mano in area, non li aiuta, anzi, li condiziona, li frastorna. Sono gli arbitri (e soprattutto chi li dirige) i primi a non aiutarsi. Un compito che spetterebbe anche ai giocatori, che invece danno il cattivo esempio, e anche agli allenatori, ma se un campione d’Italia prende sette cartellini gialli dopo 24 giornate non può essere d’aiuto.

E come lui, tanti, tantissimi altri. Anche Renzo Ulivieri, da anni a capo dell’associazione allenatori, era un abbonato dei cartellini rossi, ma c’era un altro spirito, un altro rapporto. C’era empatia, ora c’è isteria. Si sta esagerando, siamo usciti dal terreno della furbizia e siamo entrati in quello dei falsari. Ora un contrasto ha almeno l’ottanta per cento di possibilità di diventare fallo, dimenticando che il calcio è uno sport di contatto, ci si può toccare, non per forza deve arrivare il fischio dell’arbitro. Siamo nel momento decisivo, dobbiamo capire cosa fare di questo gioco. Se va mantenuto nel terreno della serietà, quanto sta accadendo non va bene.


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