Ridate ai bambini la palla di stracci

Giocavamo a pallone, con quei “palloni” poi, senza obiettivi, sognando certo di giocare un giorno in una grande squadra, ma non era quello il pensiero fisso
Mimmo Carratelli
7 min
Tagscalcio

Caro direttore, ho letto con molta attenzione il tuo fondo sulla salute precaria del calcio italiano. Nell’abbondanza di dati e cifre, fornite dalla Federcalcio, manca la cifra più importante: la passione dei ragazzi di oggi per il pallone.

Scrivo da vecchio e mi perdonerai. Ai miei tempi antichi, dalle ristrettezze lasciate dalla guerra venivano fuori disponibilità occasionali. Te la faccio breve. Nelle piazze e nelle strade, stadi ideali per affinare l’equilibrio, noi giocammo prima con una palla di stracci, poi (lusso supremo) con una palla di gomma. Attrezzi difficili da governare, ma proprio questa difficoltà ci imponeva di affinare il controllo di quei “palloni” e le giocate.

Non avevamo solo il gusto del gioco, ma il preciso “impegno” e la grande “soddisfazione” di farcela a impattare nel modo migliore la palla di stracci e poi quella di gomma. Giocavamo indossando canottiere dipinte con la vernice dei colori dei grandi club professionisti. E avevamo scarpe da passeggio risuolate (altra difficoltà nel controllare la palla). Si giocava sui campetti delle parrocchie e le condizioni non erano diverse.

Giocavamo a pallone, con quei “palloni” poi, senza obiettivi, sognando certo di giocare un giorno in una grande squadra, ma non era quello il pensiero fisso, tantomeno fare soldi col pallone, diventare popolari e sposare le veline che, per giunta, in quella epoca, non erano state ancora inventate. L’obiettivo era giocare e giocare.

Che cosa, ovviamente, è cambiato? I bambini di oggi vanno alle scuole-calcio già con le divise da gioco dei grandi, gli scarpini da calcio e il pallone “ufficiale”. Sono già degli aspiranti professionisti e, complici i genitori, si sentono già dei talenti, obiettivi la Ferrari, i soldi e le veline da grandi. Nelle partite tra i bambini regnano già la tattica e l’aggressione all’arbitro. Ai bordi del campo i genitori urlano contro tutte le ingiustizie del mondo, il loro figlio gioca poco, gioca in un ruolo sbagliato, l’istruttore è una testa di cavolo e gli avversari vanno strozzati. Perché già all’età bambina bisogna primeggiare e vincere. Poi, ci sarà tempo per calciare bene il pallone.

Non so che cosa si faccia nei centri federali, i luoghi migliori per non snaturare subito la passione dei bambini e insegnargli a divertirsi, prima di vincere. Quanti sono in Italia i centri federali? Credo una trentina, zero in Campania, se le mie informazioni sono esatte.

Insomma, fra scuole-calcio, che costano e sono un investimento per i genitori che puntano a un ritorno economico (l’ingaggio del figlio nelle giovanili delle grandi squadre), e i centri federali non so esattamente che cosa succede. Più che scuole, temo siano fabbriche di illusioni, con le dovute eccezioni ovviamente.

Ai miei tempi, passavamo ore e ore a calciare la palla di destro e di sinistro contro un muro, per dire che cos’era l’”apprendistato”. Mettiamoci pure che il calcio era la via di fuga da condizioni indigenti, una base per diventare “migliori”, e che, sempre a quei tempi, il sacrificio, il lavoro e la tenacia erano valori di vita che gli aspiranti calciatori conservavano anche nel gioco del pallone. Imparavano a giocare “da contadini”, sudando, soffrendo e mandando i primi, pochi spiccioli a casa.

Quello era un mondo artigiano che ha prodotto talenti, nati direi dall’umiltà. Il paradosso è che, oggi, con tante conoscenze, le attrezzature e le disponibilità, quell’umiltà è scomparsa, i bambini vestono “da campioni” e a perdere il gusto del gioco, per essere inseriti in un sistema per far soldi, ci mettono poco. L’importante è “arrivare” magari eseguendo uno stop a seguire, ma a seguire solo perché lo stop è sbagliato. Si insiste ancora nel dribbling che, per noi bambini, era il massimo della fantasia e della padronanza del pallone?

Non sono un nostalgico della palla di stracci, ci mancherebbe, ma con la palla di gomma imparai a colpire bene, e sentivo il suono della palla. Oggi i bambini che vogliono giocare al calcio che suono sentono, inchiodati a una posizione tattica e allevati a fare i robot in campo?

Ci sarà un motivo se in altri sport, nuoto, atletica, pallavolo, tennis, i talenti affiorano. È che il loro è un mondo di sacrifici e duro lavoro senza l’abbaglio della popolarità, del successo ad ogni costo, del danaro. I media, del resto, li relegano nelle ultime pagine e nelle ultime immagini televisive, accorgendosene solo quando, incredibile Italia, diventano campioni del mondo e campioni olimpici. Ma poi tornano alle ultime pagine e alle ultime immagini, perché tutto ruota attorno al pallone sempre più indebitato e sempre più privo di talenti.

Ridate ai bambini la palla di stracci, sapranno diventare buoni calciatori.

La replica del direttore Zazzaroni

(Zazza). Caro Mimmo, sbaglia chi considera questa lettera la testimonianza nostalgica di un reduce: io la trovo modernissima, e fresca come la tua scrittura, straordinariamente provocatoria. Il guaio è che di stracci è oggi la testa di chi ha perduto il senso del calcio. E del percorso.


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