NAPOLI - Diciotto anni: e mentre intorno c’è (di nuovo) il profumo della Champions, ciò che resta nell’aria è un retrogusto amaro d'incomprensioni che stride con una realtà calcisticamente abbagliante. In questa ennesima estate rovente, in cui niente è mai come prima, persino il ricordo di maggio 2021 evapora nel nulla, lasciando che si dissolvano quei veleni, quei retropensieri e soprattutto il senso autentico di un un fallimento tecnico ed economico racchiuso nel quinto posto, nella seconda stagione consecutiva senza le accecanti e remunerative nottate tra le grandi del calcio e il fardello di quei duecento milioni circa (da Rrahmani a Lobotka, da Petagna a Demme, da Politano a Osimhen) spesi in precedenza. Un terzo posto, con annesso sogno scudetto sgretolatosi definitivamente a un mese dalla fine del campionato, è strapazzato da un clima esasperato e dalla divisione che si percepisce tra il club, il suo legittimo proprietario e una (gran) parte di una tifoseria divenuta insofferente ad una comunicazione che non riesce ad arrivare al cuore della gente, forse neppure ci prova.
I se e i ma
Che poi del senno di prima sian piene le fossa, è un dettaglio che sta dentro un’analisi popolare (e che attraverso i social, i nuovi canali dell’intrattenimento a tanto al chilo, talvolta si trasforma in populistica) alla quale va strizzato l’occhio. Perché tra un anno, che come si sa vola, Koulibaly e Fabian Ruiz, ognuno a modo proprio pilastri del calcio di Spalletti, saranno liberi e a parametro zero, paradosso filosofale d’una società che ha sempre offerto il proprio progetto come modello espressivo. Ma nel tempo assai recente sono già andati via, uno dietro l’altro, Insigne (il capitano o la bandiera o comunque un simbolo), e poi in precedenza Maksimovic e Hysaj; e Milik si è trovato in questa situazione, quella che appartengono pure a Ospina e a Mertens: il Covid ha cambiato il calcio, che di suo già stava divagando verso nuovi orientamenti, ha inciso sui costi, ha imposto di intervenire - anche severamente - sui bilanci e però è rimasto immutato, per certi versi, quel linguaggio colloquiale che separa ADL dalla città e ormai li lascia a distanza di insicurezza.
Eppure
Il Napoli non è rimasto inespressivo, anzi, ha già lasciato sul tavolo una quarantina di milioni (per Olivera, Kvaratskhelia e il riscatto di Anguissa), ha una squadra che al netto di qualsiasi interpretazione è (quasi) completa, avrebbe bisogno di poco altro, sicuramente della magìa di un’atmosfera ch’è stata spazzata via con l’uso inappropriato della retorica o dell’affabulazione, con una ricerca ch’è divenuta allergizzante della provocazione a prescindere, con un (dis)interesse a temi portanti, da utilizzare con sensibilità come collanti tra due mondi che non potranno mai essere convergenti ma che adesso hanno scoperto di ritrovarsi - e in maniera anche evidente - ideologicamente «litigiosi», irragionevolmente spaccati all’interno dello stesso sistema affettivo. Forse l’anno zero ha bisogno delle parole mai dette.