Lukaku, la Roma e il nuovo soprannome che gli hanno dato i tifosi

C’erano oltre 7mila tifosi a Ciampino per il primo abbraccio al belga, ribattezzato "The King"
Jacopo Aliprandi e Chiara Zucchelli
5 min

ROMA - L’Oscar del genio del giorno lo vince il titolare di un negozio che ieri, dopo pranzo, ha chiuso baracca e burattini e si è presentato a Ciampino. Niente di strano, se non fosse che sulla porta ha scritto: “Chiuso per Lukaku”. Gli incassi potevano attendere, i clienti pure, troppa era la voglia di andare ad assistere dal vivo allo sbarco di Big Rom nell’aeroporto preso d’assalto da oltre 7mila romanisti impazziti d’amore. Il meteo dava pioggia (c’è stata, leggerissima, solo a tratti), parcheggiare era un’impresa (Appia e Appia Antica intasate), vedere qualcosa lo era altrettanto, eppure tutti quelli che hanno potuto hanno scelto di dedicare tre ore della propria vita a Romelu Lukaku. E lui, a suo modo, li ha ringraziati.

Grazie Roma

Sono le 17.40 quando l’aereo guidato da Dan Friedkin tocca il suolo italiano. Passano 9 minuti quando Lukaku, total look nero e scarpe bianche, scende dalla scaletta dell’aereo. Si mette la mano sul cuore, fa il pollice in su, ringrazia tutti, sfila tra tifosi e giornalisti di mezza Europa. Oltre agli italiani ci sono inglesi, belgi e americani ma nessuno ha modo di avvicinare il giocatore: lui resta in pista, le reti impediscono qualsiasi contatto. Ai tifosi poco importa: per loro, soprattutto per le centinaia di bambini presenti, l’importante è che Lukaku sia a Roma. Ci sarà tempo per abbracciarlo: venerdì all’Olimpico, anche se non giocherà, a meno che il club non organizzi qualcosa prima. Ieri, subito dopo l’arrivo, Lukaku è andato a Villa Stuart e poi in un hotel nel cuore di Roma, a due passi dal Colosseo e dal Circo Massimo. Stamattina la Roma si allena, Mourinho lo vuole subito vedere, lui andrà a Trigoria presto: foto con la maglia (numero 90), firma (previsto il bonus scudetto sul contratto) e prime dichiarazioni ufficiali. Ieri si è limitato a far filtrare le sue emozioni: "Sono felice, vedere tutta questa gente per me è stato emozionante, non vedo l’ora di giocare".

L’ovazione

Con lui né la mamma né i figli (lo raggiungeranno) ma un paio di amici e collaboratori. A portare tutti in Italia il presidente Dan Friedkin a bordo del suo aereo privato, con i rivestimenti interni marrone chiaro e i sedili grigi. Erano seduti, oltre a Lukaku e al suo team, tutti i protagonisti del blitz londinese: il gm Tiago Pinto, il vice presidente Ryan Friedkin, la Ceo Lina Souloukou e la donna dei conti Anna Rabuano. Quando sono scesi dall’aereo applausi anche per loro: qualche coro scherzoso a Pinto (“portaci un portiere”), ovazione per Dan e Ryan Friedkin, applausi per le due professioniste che sono state determinanti nel far quadrare i conti. Quando Lukaku è salito in macchina per andare a Villa Stuart, dopo che gli era stata messa una sciarpa giallorossa al collo, i tifosi lo hanno scortato con i motorini e le bandiere, mentre quando sono state intercettate le auto dei proprietari e di Pinto è stato complicato proseguire.

Scene d'amore

Scene di ordinaria follia di una giornata che di ordinario non ha avuto niente: i fumogeni giallorossi a ridosso di una pista aerea, non proprio l’ideale, le auto purtroppo danneggiate dai tifosi che si sono messi in piedi per vedere meglio, i bimbi in braccio ai genitori che chiedevano: "Restiamo anche se piove?", i ragazzini con la maglia Matic che, grazie a un po’ di ingegno diventava Big Rom, e l’enorme risonanza mediatica di un arrivo che, fino a pochi giorni fa, sembrava impensabile. E, invece, da ieri è realtà. Almeno per un anno, tanto è la durata del prestito oneroso dal Chelsea, Lukaku sarà un giocatore della Roma. Poi si vedrà. Nessuno, in questo momento, vuole pensare al futuro. Perché il presente è troppo bello. E sarà per questo che, alla fine, la pioggia un po’ stile inglese, perfetta metafora delle ultime settimane di Lukaku, lascia spazio al sole. Quando poi prende l’Appia per andare a fare le visite spunta pure l’arcobaleno. Non poteva che finire così.


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