Napoli, ogni parte è il tutto

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Napoli, ogni parte è il tutto© EPA
Alessandro Barbano
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Il carattere è prendere sulle spalle la paura ed alzarla al cielo. Si può fare con due mani, come ha fatto Osimhen, rizzando tra le sue il volto sfiduciato di Kvara dopo il rigore fallito, e si può fare con due piedi, tutti e due contemporaneamente, spingendo in porta la frecciata di Lozano dopo una corsa a perdifiato, perché c’è solo un posto dove il pallone deve finire, di piatto o di stinco, forse di polpaccio, e quel posto è la porta dell’Eintracht. Il nigeriano è tutto il coraggio del Napoli. E scrivendolo sappiamo di cadere nella sindrome della sineddoche, quella che ci fa scambiare una parte per il tutto, o meglio di identificare il tutto con una parte, la migliore. Ma l’errore è solo apparente. Perché quella parte dice anche il tutto, l’ardore del centravanti racconta il sacrificio di Lobotka, che sfugge alla marcatura asfissiante della mediana tedesca arretrando di dieci metri, poi riprende il possesso del centrocampo e qui si fa, insieme, baluardo e motore, contrasta e dirige, frena e inventa tutto quello che il Napoli può inventare, per esempio lo scavalco con cui il regista slovacco libera Lozano per l’assist del vantaggio. Non è una verticale e neanche una diagonale, ma un’alzata di volley, insieme tesa e convessa come una traiettoria sfuggente. Come un’imbeccata fatale. È questo il Napoli, ragazzi.

Il coraggio di Kvaratskhelia

E non solo. Perché c’è coraggio nella postura aracnofila di Anguissa, un vero ragno danzante, e non sai se nasconda il pallone tra le lunghe chele o sotto l’ombrello delle sue treccine nere, per poi sgusciare via in una fuga liberatoria. C’è coraggio in Kim, quando si protende con la sua corazza sull’avversario che porta palla, e la palla gliela porta via nove volte su dieci, rischiando di perderla, com’è accaduto ieri nell’occasione in cui è stato ammonito. La sua coreografia è l’ossimoro di un bidone agile, robusto e veloce come un guerriero cui la corazza pesante non tolga un briciolo di energia. C’è coraggio nel furetto messicano, che sbuca nell’uno contro uno come una lepre, ficcante quanto l’arma in più di Spalletti. C’è coraggio, da ultimo, nel geniale ragazzo georgiano, che corre in un ritmo mozartiano, dove la ripetitività dei gesti è un sortilegio della capacità di sorprendere.

Una squadra galattica

È il Napoli, ragazzi. Ma che Napoli! Chi l’aveva mai visto? Chi l’avrebbe mai detto? È il Napoli galattico, orgoglio del calcio italiano, rivincita di una frustrazione trentennale, che nei picchi della passione scatena in queste ore la tentazione di profanare il patrimonio più caro dei tifosi, la memoria, e dire che neanche il Napoli di Maradona era mai arrivato a questo. Ai calciofili più freddi ricorda il Milan di Sacchi, che pure ha vinto tutto, mentre questi, i ragazzi di Spalletti, sono appena candidati alla vittoria. Che siano o no, questi paralleli, inganni del ricordo, e dell’età che avanza, si deve riconoscere che un palleggio così non s’era mai visto, a memoria d’uomo.

Una sinfonia incalzante

L’Eintracht è squadra incompleta. Ha un paio di talenti in mezzo alla composta pressione di scuola tedesca. Che, contro la sinfonia azzurra, preme dieci minuti, poi evapora come la schiuma di birra in una sagra prussiana. Non c’è argine contro il crescendo spallettiano, che apre il secondo movimento della sua sinfonia con un ritmo più incalzante. Non è l’espulsione di Kolo Muani a chiudere la gara, perché anche in undici contro undici il Napoli non avrebbe concesso di più. Se l’ingenuità dell’attaccante francese, che azzarda uno spericolato anticipo su Anguissa, è figlia della frustrazione, il rosso dell’arbitro è frutto dell’inadeguatezza. Ma la musica non cambia, compenetrata com’è nella sua cabaletta finale, dove il genio di Kvara offre a Di Lorenzo una prova di maturità: tiro a giro rasoterra col sinistro, una volta il piede debole del capitano azzurro. Ma di debole in questa compagnia non c’è più niente.


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