La Champions fa malissimo

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La Champions fa malissimo
Ivan Zazzaroni
4 min

La Champions toglie al campionato, talvolta - come ieri - svuota. E fa malissimo. La Champions è quella cosa per la quale ti batti un anno intero per raggiungerla e se sei così bravo da andare avanti ti ritrovi a dover scegliere tra la zona e la finale, tra l’uovo subito e la gallina domani, con il rischio di perderli entrambi e sentirti dare del fallito. La Champions diventa un bivio antipatico: una scelta non con cosa, ma senza cosa. A differenza dei tecnici stranieri che dispongono di rose ricchissime, abituate al doppio impegno, e si pongono raramente il problema del turnover, i nostri, arrivati a un passo dalle semifinali, entrano in crisi d’abbondanza di pensieri, ovvero nello scomodo terreno del come fai sbagli.

Le squadre perdono identità

Ecco allora che Spalletti cambia volto al Napoli e non va oltre il pareggio col Verona (ma lui almeno può permetterselo perché ha uno storico scudetto che lo aspetta) mentre Pioli resetta il Milan e si presenta a Bologna con la versione più improbabile della squadra campione in carica. Quando nelle ultime sei partite di campionato raccogli 6 punti su 18 qualche calcolo l’hai certamente sbagliato, ad esempio la strategia sulla media distanza. Inseguire il grande sogno è elettrizzante, ma non può essere penalizzante fino a questo punto: l’aspetto paradossale del recente cammino del Milan risiede nel fatto che tre dei sei punti li ha presi al Maradona, goleando il Napoli, mentre ne ha lasciati un sacco e una sporta tra Salernitana, Udinese, Empoli e Bologna.

Necessità finanziarie

Se martedì il Napoli dovesse riuscire a eliminare la squadra di Pioli, questa sarebbe infatti condannata all’affannoso inseguimento di uno dei tre posti buoni - valore economico superiore a 80 milioni, per non dire di quello sportivo - e rimpiangerebbe le uova lasciate per strada. Non voglio pensare a cosa accadrebbe se rientrasse in gioco la Juve. Segnalo piuttosto gli 8 punti di vantaggio della Lazio su Milan e Roma, oggi impegnata con l’Udinese, e i dieci sull’Inter. I club italiani non possono più permettersi voli pindarici: ci sono necessità superiori, quasi tutte finanziarie, di sopravvivenza o di rilancio in tempi stretti. I dieci cambi effettuati da Pioli contro il Bologna hanno rappresentato un azzardo che non ha pagato: la squadra di Motta veniva da 7 punti nelle ultime tre uscite nelle quali aveva mostrato un coraggio e una solidità impressionanti. Il lavoro di Thiago sta esaltando quello estivo di Sartori, peraltro condizionato dalla scarsa disponibilità economica che ha pregiudicato alcune operazioni. Le seconde e terze scelte del direttore tecnico stanno realmente sorprendendo: dico di Moro, Posch e Ferguson; Zirkzee e Lucumi rientravano nella lista 1.

Pagano anche le altre

La scelta scomoda ha investito anche Inzaghi, che ha puntato inizialmente su Asllani, De Vrij, Correa (e quel che resta di Lukaku) e conosciuto l’undicesima sconfitta su 30: storica l’impresa da pullman del Monza di Berlusconi e Galliani, autentica sorpresa dell’anno. Simone aveva il vantaggio dei due gol a Lisbona, si è limitato con le esclusioni e, a differenza di altre volte, non può nemmeno prendersela con la sfortuna. Lo consoli il fatto che ha cambiato qualcosa anche Roger Schmidt, e il suo Benfica ha perso in casa del Chaves. La Champions nuoce perfino ai portoghesi. Riformulo la domanda posta più frequentemente in questo aprile di exploit italiani nelle coppe: meglio un uovo oggi o una gallina domani? Ed è nato prima l’uovo o la gallina? La scienza ha già dato la sua risposta, ma la gallina ha fatto ricorso. Questa è di Guzzanti. Corrado.


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