Inter, la trappola di Simone Inzaghi

Leggi il commento alla finale di Champions League e alle mosse del tecnico nerazzurro
Inter, la trappola di Simone Inzaghi© LAPRESSE
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Fabrizio Patania

Se Guardiola aveva paragonato l’Atalanta di Gasp alla sofferenza di una seduta dal dentista, chissà quale metafora userà per descrivere l’Inter. Il rischio di sorseggiare una bibita ghiacciata e traditrice sul Bosforo non è da trascurare. Il veleno di Inzaghi, al netto delle inevitabili pause e della predisposizione a rallentare in vantaggio, produce risultati. Gestire con la Dea è scomodo e ancora di meno sarà possibile di fronte al City, ma contava tagliare il traguardo e vincendo ieri a San Siro i nerazzurri si sono garantiti la qualificazione Champions, considerata a lungo da Marotta l’obiettivo stagionale che forse non avrebbe permesso al tecnico di salvare la panchina. Al conto sfuggivano Supercoppa, Coppa Italia e soprattutto la possibilità di salire sul trono d’Europa dopo aver battuto altre due volte il Milan. Un cammino pazzesco e in grado di rendere sopportabile il dominio del Napoli in Serie A. La partenza entusiamante, i gol di Lukaku e Barella, la tendenza a conservare, forse perché nella testa degli interisti sul 2-0 erano già apparse le facce di De Bruyne, Foden e Bernardo Silva, poi difesa e contropiede per stendere l’Atalanta con Lautaro. Simone non sbaglia un colpo e ora potrà preparare con calma la finale.

Ecco perchè l'Inter può battere il City

L’Inter sta bene, è cattiva, può far male agli inglesi. Il tema tattico di Istanbul sembra scontato. Una trappola. Palla al City e Inzaghi pronto a mordere con le feroci ripartenze di Barella e Dimarco, di Dumfries e Mikhitaryan, se riuscirà a recuperare. Verticale, nello stesso modo in cui ha accecato l’Atalanta in avvio. Simone, non ne dubitiamo, indovinerà le scelte. Dzeko, regista offensivo accanto a Lautaro, o la freccia Lukaku dall’inizio? Big Rom, incenerendo la Dea, ha rinforzato la propria candidatura. La partita perfetta dovrà nascere dallo spirito d’acciaio del gruppo, dalla preparazione e dallo stellone che accompagna i generali fortunati. Se il City è largamente favorito o “ingiocabile”, come direbbe Sarri, i laziali ricordano il debutto di Simone in Champions. Il 20 ottobre 2020 erano pronosticati cappotti e imbarcate. Dentro l’Olimpico vuoto, lo show: 3-1 al Borussia Dortmund. Acerbi governava la difesa che concesse un solo gol al norvegese Haaland, a segno dopo 71 minuti. Chiuse il conto l’ivoriano Akpa Akpro, ex Salernitana, tanto per sottolineare con quale organico Inzaghi uscì imbattuto dal girone e si qualificò agli ottavi (non succedeva da vent’anni in casa Lazio), fermato solo dal Bayern. All’Inter si è ripetuto due volte, centrando il risultato fallito in precedenza da Conte e Spalletti.

Inzaghi e il futuro: i risultati raggiunti

Solo per questo motivo, i dirigenti di Appiano non lo avrebbero dovuto discutere, anche se 12 sconfitte in campionato hanno avuto un peso. Come i soldi garantiti a Zhang attraverso il percorso Champions (100 milioni di premi Uefa più 40 al botteghino di San Siro) e un rendimento mostruoso nelle partite da dentro o fuori. Inzaghi allena da sette anni, cinque alla Lazio e due all’Inter. Da allora ha superato il turno 16 volte su 19 in Coppa Italia, vincendo tre finali su quattro, e ha calato il poker in Supercoppa (4 su 4). Il cammino europeo: 8 vittorie, 3 pareggi e 7 sconfitte nelle partite a eliminazione diretta contando i precedenti con la Lazio in Europa League, presa sul serio solo nel 2017/18, quando subì la rimonta del Salisburgo. Nella stagione successiva si arrese al Siviglia. L’anno scorso, con i nerazzurri, spaventò Anfield. Ventotto partite totali di Champions, 13 vittorie, 8 pareggi e 7 ko, di cui 4 con il Bayern, 2 con il Real Madrid e 1 con il Liverpool. Simone, in tre anni, ha eliminato Bruges, Zenit, Shakhtar, Barcellona, Porto, Benfica e Milan. Guardiola ne ha vinte 100 su 160 in Champions, 47 su 74 da quando allena il City, a cui manca solo Istanbul per chiudere il cerchio. Per riuscirci, dovrà far fuori il re di Coppe, sette finali vinte su otto in carriera. Perse la prima con la Juve nel 2017, poi non s’è più fermato. Pep è avvertito.


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