Roma, la sconfitta che vale una vittoria

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Roma, la sconfitta che vale una vittoria© AS Roma via Getty Images
Ivan Zazzaroni
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Che gli vuoi dire? Hanno dato tutto, molto più di quello che avevano in corpo. I ragazzi di Mou sono arrivati alla fine sfibrati, i più importanti - Dybala, Pellegrini, Matic - si erano persi per strada, uno dopo l’altro. Centoquarantasei minuti di sofferenza hanno (e abbiamo) vissuto: sprecate le occasioni migliori, resta una traversa all’ultimo minuto e poi quel tristissimo epilogo ai rigori, dopo la mezzanotte. E cosa vuoi dire a Mourinho che è stato capace di trascinare questa squadra là dove Barcellona, United, Juventus e altre big scese dalla Champions non sono riuscite a presentarsi. Sembrava la serata giusta, giuro che ci ho creduto: l’uscita di Paulo ha spostato gli equilibri, azzerato la fantasia e per allungarsi fino ai rigori la Roma ha dovuto inventarsi energie che in realtà non possedeva. Pochi istanti prima della chiusura dell’ultimo supplementare proprio Dybala ha capito: si è coperto il volto con la maglia per non assistere a ciò che stava immaginando.

Una sconfitta che vale una vittoria, per tutto quello che si porta dietro e dentro. Non finirò mai di rigraziare Mourinho per questi due anni chiusi all’ultimo, per la competitività che ha garantito a una squadra piena di difetti tecnici e di vuoti, ma ricca di cuore, di voglia di far bene. Una squadra per certi versi indimenticabile. Per dieci mesi ho cercato di raccontare le gioie, le ansie e i tormenti dell’allenatore più importante della storia della Roma - resto, non resto, dov’è finita la società? -. Sto ancora illudendomi che ci possa essere un terzo anno e un quarto perché quello che lui ha saputo dare a una parte della città e a chi è riuscito a coinvolgere è straordinario. I tifosi della Roma ripenseranno a questa finale per molto tempo, rivedranno mentalmente le immagini, il labbro spaccato di Ibanez, Matic steso a terra non una ma due volte, Dybala costretto allo stretching e all’uscita, il suo splendido gol, gli errori sotto porta dello stesso Ibañez e di Spinazzola, l’autorete di Mancini, la traversa di Smalling. E i rigori, uno scherzo del destino. Il più crudele.


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