Italia, Mancini e la tentazione di cambiare© LAPRESSE

Italia, Mancini e la tentazione di cambiare

Alessandro Barbano
5 min

ROMA - Nel lungo inverno dell’attesa, che precede lo spareggio per i Mondiali, e che Roberto Mancini attraversa con ottimismo un po’ buddista, un libro potrebbe essere d’aiuto e di ispirazione al nostro ct. Parliamo di Memorie d’Adriano della grande Marguerite Yourcenar, uno dei capolavori della letteratura esistenzialista, ma anche un raffinatissimo manuale sulla difesa della leadership. Il coraggio di un condottiero, insegna l’imperatore morente in una lettera al giovane Marco Aurelio, richiede che talvolta si scarichino gli amici fedeli che ti hanno portato al successo. È una lezione di realismo, o di cinismo, se preferite. Perché il successo porta con sé una naturale caduta di tensione e, più di tutto, un’assuefazione dell’animo che talvolta impedisce di vedere le cose per quello che sono. Le cose dicono che Mancini sta in mezzo al guado, come quel condottiero di cui parla Adriano.

In un’intervista alla Gazzetta dello Sport rivendica di aver vinto con merito il trofeo europeo, ed ha ragione. Poiché, al netto di qualche sofferenza con la Spagna, l’Italia ha espresso il gioco migliore. Però la vittoria non azzera i limiti e le incompiutezze di una nazionale costruita come una scommessa, priva di top player, e cementata dallo spirito di gruppo. Dopo lo schiaffo delle qualificazioni mancate, Mancini sta come Ulisse sul bivio delle Colonne d’Ercole. Deve decidere se scommettere sui suoi antichi compagni di viaggio, esortandoli all’impresa con una mozione degli affetti, oppure farli scendere dalla zattera per trovare nuovi rematori.

È stimolato da questa nuova prospettiva, poiché Zaniolo e Scamacca, per fare solo due nomi, potenzialmente risolvono le contraddizioni di un attacco che fin qui non è apparso invincibile. La stima del ct per i due ragazzi è fuori discussione. Del romanista dice che «con la porta in faccia è devastante». Del sassolese, corteggiato dalla Juve, dice che «ha tutto per diventare quel centravanti completo» che lui da sempre sogna per la sua nazionale. «Può succedere - azzarda - che i nostri giovani attaccanti crescano tanto in questi tre mesi, arrivino pronti alla partita di Palermo e prontissimi al Mondiale. Io ci credo».

L’altra faccia del suo ottimismo della volontà è un segnale di sfiducia per i vecchi titolari, e in particolare per quell’Immobile con cui non è mai scattato un vero feeling. La Nazionale cambia? Lo scopriremo solo a marzo, quando la zattera del ct arriverà di fronte allo spareggio, che somiglia proprio alla montagna bruna del purgatorio dantesco: due partite secche, prima contro la Macedonia nell’arena calorosa della Favorita, poi in Portogallo o in Turchia. Mancini sembra convinto che nel calcio ogni equilibrio è fatto per essere superato, e a questa legge non si sottrae l’equilibrio di Wembley. Con Scamacca e Zaniolo non mutano solo i nomi delle maglie. Perché, per fare solo un esempio, il romanista non è, nella visione del ct, un esterno, ma una mezzala d’attacco. Può giocare nel 4-3-3, ma sarebbe un altro centrocampo rispetto a quello visto fin qui. E c’è da chiedersi se sia compatibile con Insigne e Chiesa esterni, o piuttosto con Insigne e Berardi, o ancora con Berardi e Chiesa. Oppure può giocare da seconda punta, ma allora sarebbe un altro modulo. Il salto generazionale si annuncia come un’evoluzione tattica dalla quale il tecnico azzurro è chiaramente tentato. Tra noi e lo spareggio ci sono meno di tre mesi e undici partite di campionato, un tempo sufficiente per testare la voglia di emergere dei nuovi protagonisti azzurri e l’audacia di un allenatore che fin qui ha saputo sorprenderci. Chissà se ascolterà l’esortazione di Adriano a cambiare squadra, o cederà alla fedeltà, come fece Ulisse. Che pure veniva da una grande vittoria, avendo espugnato Troia con l’astuzia del cavallo di legno. Sappiamo come andò a finire…


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