Iran-Usa, la sfida senza pace: una bandiera alza la tensione

La federazione statunitense cancella i simboli dal vessillo degli avversari: «Siamo dalla parte delle donne in lotta». La replica: «Squalificateli»
Iran-Usa, la sfida senza pace: una bandiera alza la tensione© Getty Images
Marco Evangelisti
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C’è un derby e c’è uno scontro di civiltà per una bandiera mutilata sui social. Il derby è Galles-Inghilterra. Tutto il resto è Iran-Stati Uniti, quella che fu la madre di tutte le partite. Nel 1998 la chiamarono così. Adesso è la nonna, ma i rancori storici tornano giovani ogni volta che tornano comodi.  

Non importa di chi sia la colpa. O meglio sì, importa eccome, però lasciamo giudicare a voi. Qualsiasi cosa accada nel derby dall’altra parte del girone, chi vince tra Iran e Stati Uniti va agli ottavi del Mondiale. Basterebbe, in un mondo normale. Ma sappiamo che cosa sta succededo in Iran, le proteste innescate dalla morte di Mahsa Amini, deceduta in una stazione di polizia a Teheran dopo essere stata arrestata perché si era allacciata male il velo, i morti a centinaia, gli arresti a migliaia, il regime degli ayatollah che vacilla. E sappiamo della guerra gelida che tra Iran e Stati Uniti va avanti dal 1979, dalla rivoluzione khomeinista, dal sequestro di 51 dipendenti dell’ambasciata Usa. Sappiamo delle ispezioni agli impianti nucleari iraniani concesse e negate, degli accordi firmati da Obama e stracciati da Trump, dell’uccisione del generale Qasem Solemaini, delle minacce, dello spionaggio, del Grande Satana che non è il Milan bensì l’America nel linguaggio della propaganda di Teheran diretta agli anziani del popolo. Per i giovani si usano altre immagini e altre promesse: anche in Iran la sanno lunga, in materia.

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È persino complicato capire chi abbia cominciato, questa volta. Si direbbe la federcalcio statunitense, con la pubblicazione di un post in cui, nella classifica del girone, la bandiera iraniana era stata spogliata del simbolo centrale, quattro mezzelune e una spada, un richiamo al nome di Dio; e delle scritte che ripetono “Allah è grande”. La provocazione è durata qualche ora, poi l’immagine è stata ricondotta al modello originale. Anche perché il dipartimento di Stato si è chiamato fuori: stiamo in pace e pensate a giocare, è in pratica il messaggio. Nel frattempo l’agenzia di stampa istituzionale iraniana aveva replicato appellandosi al codice della Fifa: «Una sospensione per dieci gare sarebbe la sanzione appropriata. La squadra statunitense dovrebbe essere esclusa dal Mondiale». 
Invece giocheranno. Come giocarono nel 1998 in Francia, cercando di non pensare ad altro, alle pubbliche opinioni e ai governi dagli occhi appuntiti che li guardavano, convincendosi che fosse solo sport. Stringendosi la mano prima di cominciare, anche se furono gli statunitensi ad avvicinarsi agli iraniani mentre il protocollo prescriveva il contrario. L’Iran vinse 2-1 e quando la squadra tornò in patria, tra balli in piazza e mazzi di fiori, la guida suprema Khamenei baciò in fronte Hamid Estili, che aveva segnato il primo gol. Poco importa che sia Iran sia Usa fossero stati eliminati. 
Giocarono ancora, un’amichevole in tempi meno sanguigni, e si ritrovano adesso. Con un vero scontro di civiltà in atto, sul quale la federazione statunitense non fa passi indietro, anzi: «Lo abbiamo fatto per mostrare il nostro sostegno alle donne che in Iran lottano per i diritti umani fondamentali». Jürgen Klinsmann, tedesco coriaceo ed esplicito che della Nazionale Usa è stato ct dal 2011 al 2016, non ci aveva messo buone parole: «Il modo di giocare dell’Iran è una disgrazia per il calcio, ma fa parte della loro cultura. Inveire contro il quarto uomo per ogni intervento dell’arbitro per loro è normale e il ct Carlos Queiroz è perfetto per questa squadra». Né Queiroz, nonostante una maldestra giravolta minimizzatrice di Klinsmann, l’ha presa bene: «Quei commenti sono una vergogna. Se si sente tanto superiore venga a vedere come lavoriamo. Ma prima si dimetta dal gruppo di studio tecnico del Mondiale».  
Non c’è stata, in questo torneo, una partita dalla vigilia altrettanto inquieta, affollata, disturbata, inquietante. I giocatori statunitensi non se lo aspettavano. I giocatori iraniani sì. Da settimane sono costretti a chiedersi a ogni risveglio se hanno fatto la cosa giusta e quali altre scelte etiche saranno chiamati a compiere. Se esporsi a favore della rivolta, come ha fatto Sardar Azmoun, se lasciar correre per timore di rappresaglie nei confronti delle famiglie. Sono stati abbandonati dal favore dei tifosi per le foto sorridenti, apparente sostegno al regime. Lo hanno recuperato restando muti al momento dell’inno nazionale. Alla seconda partita hanno deciso di cantarlo. Hanno battuto il Galles e da Teheran è stata annunciata contestualmente la liberazione di 700 arrestati. Certe volte senti di poter fare la storia ma non sai bene come. 


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