Leo Junior esclusivo: “Mondiale strano. L’assenza dell’Italia fa male”

Il fuoriclasse brasiliano: «L’assenza di Neymar potrebbe dare la scossa. Torino e Pescara nel cuore, il mio Brasile nell’82 perse la gara sbagliata»
Leo Junior esclusivo: “Mondiale strano. L’assenza dell’Italia fa male”© LaPresse
Roberto Maida
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INVIATO A DOHA - Non è il Brasile del futbol bailado, non è il Brasile che immagini quando accendi i ricordi. Ma è un Brasile che vince e che non prende gol. Il ct Tite ha applaudito la solidità della squadra che si è già qualificata per gli ottavi senza faticare, nonostante l’assenza di Neymar. Ma quando ne parli con Leo Junior, uno dei più grandi registi della storia del calcio, è impossibile chiedergli di essere entusiasta. Per lui, per loro, il pallone è soprattutto gioia nel palleggio, nel ricamo. Oggi Junior, 68 anni, commenta le partite per Rete Globo, la tv brasiliana. Quando lo abbiamo incontrato, prima della partita con la Svizzera, aveva l’uniforme d’ordinanza e stava preparando la telecronaca. Ma ci ha concesso volentieri un’intervista per parlare del Mondiale, dei suoi trascorsi italiani, del futuro del calcio sempre più appeso al business. 

Junior, che Mondiale sta vedendo? 
«Un torneo strano, timido. C’è troppa paura. Tante squadre pensano soprattutto a difendersi. Infatti ci sono stati tanti pareggi in questa prima fase. Rispetto questa idea ma chiaramente lo spettacolo ne risente». 
 
Il Brasile è un esempio di stabilità, anche se il gioco non sempre abbaglia. Come farete senza Neymar? 
«Indubbiamente l’assenza del calciatore più importante è un problema. Ma sono sicuro che gli altri ragazzi, sentendosi più responsabilizzati, sapranno dare il meglio di sé per dimostrare che meritano la maglia della S eleçao». 
 
Il suo erede nel ruolo di “volante” è Casemiro, che ha deciso la partita contro la Svizzera. 
«E’ un ottimo giocatore. Ma ne abbiamo tanti altri. Penso a Vinicius per esempio o a Raphinha, che hanno la qualità per risolvere le partite da soli». 
 
In Italia la ricordiamo con grande piacere. 
«E’ lo stesso per me. Ogni volta che torno nel vostro Paese ricevo tanto affetto. E’ successo anche recentemente». 
 
Le è rimasto nel cuore più il Torino o il Pescara? 
«Forse il Torino, perché è stata la squadra dove ho scoperto la Serie A. E poi a Torino è nato mio figlio Rodrigo. Ma anche a Pescara, dove ho giocato due stagioni, ho vissuto momenti fantastici. Pescara è un bel posto dove vivere e lavorare». 
 
Certo è incredibile pensare che un campione come lei abbia giocato in due squadre che non puntavano a vincere. Oggi non sarebbe pensabile. 
«Sono cambiate tante cose negli equilibri internazionali del calcio. Ora gli investimenti mirano quasi tutti in Inghilterra. E’ normale che la Serie A ne soffra. Bisogna reagire con la forza delle idee».

I giocatori brasiliani più forti giocano all’estero. Sul vostro territorio è rimasto qualche talento poco conosciuto che possa attrarre una squadra italiana? 
«E’ molto difficile rispondere a questa domanda perché oggi i brasiliani lasciano molto presto il nostro campionato, anche a 16-17 anni. Ai miei tempi non era così. Sono però soddisfatto del prodotto: in Brasile dopo il Covid gli stadi hanno raggiunto una media di 40-45 mila spettatori a partita. Significa che lo spettacolo è gradevole».

E’ più forte questo Brasile o il suo? Scusi la domanda irriverente. 
«Non amo fare paragoni, ogni generazione ha pregi e difetti». 
 
Insistiamo. Il Brasile ‘82 era meraviglioso ma meno solido di questo. Infatti l’Italia di Bearzot è riuscita a eliminarlo. 
«Ma guardi, ci tengo a puntualizzare una cosa: anche il mio Brasile ha perso in tutto due o tre partite. Solo che tra queste c’era anche quella sbagliata». 
 
A proposito, che effetto le fa l’Italia lontana dai Mondiali? 
«Mi fa male perché vi voglio bene. Che sia rimasta due volte di fila fuori non riesco a spiegarmelo. Dovrei conoscere le dinamiche interne per capire. Certo, perdere con la Macedonia del Nord...».


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