Il contropiede di Dio

Il contropiede di Dio© EPA
Ivan Zazzaroni
4 min

Ho aperto il cuore e ringraziato il cielo, ché Messi sta ancora giocando. L’ha chiesto Lele el cantor de la Paternal, l’ho sentito con le mie orecchie e me lo so’ segnato. La divisiva esaltazione di Adani l’ho trovata contagiosa e allora “en Argentina nací, tierra de Diego y Lionel, de los pibes de Malvinas, que jamás olvidaré. No te lo puedo explicar, porque no vas a entender, las finales que perdimos, cuántos años las lloré... Muchachos, ahora nos volvimo’ a ilusionar, quiero ganar la tercera, quiero ser campeón mundial, y el Diego, en el cielo lo podemos ver, con Don Diego y con la Tota, alentándolo a Lionel”. E vabbuo’... 

Torno serio. O almeno ci provo. Messi ha confermato quello che sto ripetendo dal settimo giorno del Mondiale: se non ci fossero stati lui e Mbappé non avremmo visto calcio di qualità (solo recuperi improvvisi e divertenti). Peraltro, quando Leo maradoneggia come ieri, si fa iperbole alimentando il confronto (albi)celeste: nel secondo tempo ha sfiorato Diego, a un certo punto l’ha addirittura toccato, precisamente quando si è concesso un dribbling impressionante sulla linea di fondo e ha consegnato a Julian Alvarez il pallone per il 3-0. 
Partita finita dopo 45 minuti, finale raggiunta di nuovo. E con merito. Da Qatar 22, oltre alla glorificazione del numero uno, una sensazionale novità tattica: il contropiede, le contre-attaque, the counterattack, o contra ataque. Avete presente la squadra ben organizzata che si difende con attenzione, coraggio e la giusta dose di aggressività, lascia giocare l’avversario e all’improvviso, sfruttando una ripartenza, va in gol? Insomma, quello che è accaduto anche nella prima semifinale: la Croazia ha giocato, il più bel centrocampo del mondo - Brozovic, Modric, Kovacic, Perisic - ha mosso a lungo il pallone e l’Argentina, individuati i vuoti a vincere, ha segnato non una, ma tre volte.

Non vi aveva convinto l’impresa del Marocco, il cui tecnico, Walid Regragui, ha ammesso di fottersene del senso del possesso che fu pre-alessandrino per ritrovarsi a tirare due sole volte in porta? «Siamo qui per vincere, non per fare possesso» ha chiarito. «Bisogna parlare di tikitaka quando si hanno i giocatori che possono farlo. So che gli europei criticano il nostro gioco. Non esiste un solo stile. Guardate la Francia contro l’Inghilterra, meno possesso, ma ha vinto».

Quegli europei siamo noi. Noi siamo quelli che Antonio Conte è un difensivista e gioca male (ma vince). Quelli che il gioco di Allegri fa schifo e i cinque scudetti di fila andrebbero restituiti alla Lega ; quelli che Mourinho è cinico e opportunista al punto da aver fatto giocare Eto’o terzino sinistro. Per non parlare della sua Roma che non fa mai spettacolo. Chi lo critica dimentica volutamente che quando José, così come Max, ha avuto quelli buoni ha vinto col bel gioco.  
Il possesso è magnifico soprattutto se nella tua squadra - il Barcellona, ad esempio - c’è Leo Messi che a un certo punto la profondità la inventa dal nulla. E non rende se punti talmente tanto sul mantenimento del pallone da rinunciare addirittura al centravanti di ruolo per riconvertire Asensio (Luis Enrique). O Fabregas (Del Bosque). 
Ho ancora negli occhi la finale parigina di Champions tra Real e Liverpool e l’interpretazione fornita dalla squadra di Ancelotti. Per non parlare delle vittorie precedenti con Psg, Chelsea e City. Ma anche l’ultimo Clàsico, col Barcellona di Xavi palleggiante e il Real difendente, vincente e felice. 
In Qatar il calcio non è tornato alle aste. Ma non ci ha mostrato niente di nuovo. Tutto di vecchio. FenoMessi compreso.  
PS. Ringrazio Scaloni che sul 3-0 ha messo dentro per la prima volta Dybala. E subito dopo Correa e Foyth. A un certo punto ho pensato che potesse chiedere anche a Walter Samuel di fare qualche minuto. 


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