Ho ascoltato con molta attenzione il per nulla sorprendente grido di dolore di Andrea Agnelli. Nei prossimi due anni - ha spiegato - il calcio mondiale avrà quattro miliardi in meno e la contrazione del mercato sfiorerà il 30%, penalizzando soprattutto le medio-piccole.
Le casse sono vuote - e non solo per colpa del virus, aggiungo io -, il presente è cupo per tutti, e allora come si comportano i nostri club-guida? Come affrontano la crisi del secolo? Invece di investire quel poco che è rimasto sui giovani, scommettono sul breve, sull’instant team, sugli over 30, trentuno, trentadue e anche trentaquattro. Che costano poco di cartellino, ma tantissimo di stipendio.
Che tipo di vantaggio può garantire un giocatore talvolta semispremuto e con una vita calcistica che potrebbe non superare i due anni? E nel caso in cui il tecnico che l’ha voluto fosse licenziato dopo pochi mesi, cosa resterebbe in carico alla società? Un altro pesante esubero? Il Barcellona, tra i peggiori club al mondo per gestione e etica finanziaria, spende centinaia di milioni per Griezmann e Dembelé eppure ha il coraggio di tenerli in panchina per far giocare Ansu Fati, un 2002. Da noi la terza opzione Sanchez, 32 anni a dicembre, rinnova per altre tre stagioni a 21 milioni complessivi. Puliti, naturalmente. Ciao, Esposito.
Per anni i giornali hanno invocato, talvolta demagogicamente, l’impiego ad alto livello dei diciotto-ventenni. Vedendo Zaniolo, Barella, Locatelli, Sensi e Tonali, ai quali Mancini dà fiducia in Nazionale, sono certo che sia questa la strada giusta.
Ora che mancano i denari, è quasi un dovere offrire delle opportunità ai ragazzi di talento. Se in passato li avessimo cresciuti con meno clamore e più addestramento oggi ci ritroveremmo con un capitale tecnico e umano a prova di qualsiasi crisi.