Ha vinto Allegri? No, ha perso Mourinho

Ha vinto Allegri? No, ha perso Mourinho© LAPRESSE
Alessandro Barbano
4 min

Roma-Juve è una rimonta o un collasso? Il quesito si leva sul risultato di una partita piena di emozioni, segnata da qualche colpo di alta classe ma tatticamente brutta, tra due squadre con carature tecniche diverse ma allo stesso modo fragili, soprattutto a centrocampo, e ancora alla ricerca di un’identità. Per sciogliere il quesito bisogna chiedersi se ha vinto la Juve o piuttosto ha perso la Roma. La risposta non lascia spazio ad equivoci: ha perso la Roma. Caduta in stato confusionale nell’ultimo terzo di gara, quando Allegri ha azzeccato le sostituzioni, inserendo Morata e Arthur, e Mourinho le ha sbagliate, cambiando il diligente Felix con Shomurodov. A sua discolpa si può dire che la panchina non offriva molto. Ma sul tre a uno, contro una Juve più matura, Kumbulla o Calafiori sarebbero stati più utili di un attaccante.

L ’errore dell’uzbeko, che azzarda e fallisce l’anticipo su Morata, apre gli undici minuti di stato confusionale in cui la Roma prende tre gol e fallisce un rigore. La sequenza delle immagini è un campionario di errori tattici e ingenuità tecniche, che solo una paura patologica può indurre. Locatelli segna di testa comodamente piazzato, senza marcatura, nel cuore dell’area di rigore. La stessa gentilezza era stata riservata nel primo tempo a Dybala, imbeccato da Chiesa mentre passeggiava da solo sulla lunetta, e lasciato libero di stoppare e pennellare un tiro a giro imparabile per Rui Patricio. Sembrava una svista, a cui la Roma aveva risposto tornando a pressare a centrocampo una Juve mediocre e confusa, tanto da riportarsi sul tre a uno con una fortunosa deviazione di De Sciglio sul tiro di Mkhitaryan e con un capolavoro di Pellegrini su punizione.

Quegli undici minuti sono invece la prova di uno svenimento ambulante. La Roma corre, ma in stato di incoscienza, inseguendo il fantasma del proprio complesso di inferiorità, che si è impossessato dell’animo giallorosso. Il quattro a tre ne è l’esempio: Smalling salta contro tempo nell’area di rigore insieme a De Sciglio, e Ibañez, che sta dietro a pochi metri, resta immobile a guardare il terzino della Juve che si avventa sul pallone e calcia in gol. Lo stesso sbandamento coglie Pellegrini, che atterra Szczesny con una finta e poi gli calcia in mano dagli undici metri, fallendo sulla respinta.

Ci sono molti modi per difendere il vantaggio. Il migliore è palleggiare bene. Ma la Roma non è in grado di farlo. Il suo dominio è figlio del pressing e della modestia juventina a centrocampo. Un altro modo per salvare il risultato è arroccarsi in difesa con ordine, ma neanche questa è una virtù dei giallorossi. La cui dote maggiore è il coraggio che Mourinho ha somministrato al gruppo con iniezioni da cavallo. Come per reazione allergica, quel coraggio ieri si è voltato in paura. E alla Juve è bastato fare la Juve per dieci minuti, cioè spingere con sprazzi di quella spietatezza che è nel bagaglio degli attrezzi di una grande, ancorché in disarmo.

Allegri può rallegrarsi della vittoria. Ma la prestazione bianconera è stata per tre quarti di gara inguardabile, perfino per un risultatista come lui. La Juve a centrocampo è imbarazzante, davanti è senza spine, e dietro è imperfetta. Soprattutto se crede di poter rimpiazzare Chiellini e Bonucci con De Ligt e Rugani. L’olandese è aggressivo oltre il lecito, e fa uso delle mani quasi come un portiere, ma dei due nazionali azzurri non è neanche l’ombra.

A vederla giocare così, la Juve pare una squadra da rifondare, in cui, dopo l’uscita di Chiesa, svetta la solitudine di Dybala e Locatelli. Troppo poco per fare la differenza. Ma per fortuna il calcio è bello anche quando è brutto, soprattutto quando si segnano sette gol. I tifosi bianconeri possono piangere di gioia, e dimenticare ciò che hanno visto in campo. Ai romanisti tocca ridere amaro, non gli resta che il balsamo dell’ironia.


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