Serie A, un finale da lotteria

Serie A, un finale da lotteria© Getty Images
Alessandro Barbano
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Tra Vlahovic e Medel ci sono dodici anni e diciannove centimetri di differenza. Ma se c’è un gigante all’Allianz Stadium, quello è il cileno. Se non si fosse fatto cacciare dall’arbitro, forse l’attaccante serbo avrebbe continuato a non toccare palla e non avrebbe… salvato la Juve. Ma salvato da che, o da chi? Il pareggio la mette a rischio dall’obiettivo minimo di una big: se domani la Roma vince a Napoli, il quarto posto dei bianconeri diventa un fortino assediato.

Questo per dire che tutto torna contendibile. In cima con la lotta tra le milanesi, e Spalletti che, almeno per ora, non si arrende. In coda con il colpo di reni della Salernitana, che batte la Samp e torna a sperare. E in mezzo con le postazioni per l’Europa che diventano incandescenti. Perché la Roma sogna, la Lazio arranca e la Fiorentina fa i miracoli, con ventitré punti in più dell’anno scorso. In un campionato senza imbattibili, anche la mediocrità può apparire aurea. E fare suspense.

È certamente mediocre la performance della Juve senza centrocampo, dove Cuadrado s’incarta, Rabiot corre a vuoto, e Danilo sta fermo in mezzo, simulando una regia che non c’è. Perché un regista che si rispetti non ha solo il senso della posizione, che il brasiliano ha, ma inventa, ispira e conclude, come Brozovic. Lui invece si arrabatta come può con passaggi di lato e vani tentativi di imbeccare Dybala. Senonché l’argentino è già altrove, perso tra i fantasmi di una gioventù che sfuma, o tra le illusioni di un maxingaggio che, ormai, fa rima solo con miraggio.

È tutta da rifare la Juve di Allegri, e non basta un volitivo ma a tratti acerbo centravanti per cambiarne il volto, e farne la squadra che fu. Gli sguardi complici di Andrea Agnelli e Pavel Nedved, rubati dalla telecamera di Dazn, sembrano dirselo. Chiellini non ha eredi credibili, e deve stringere i denti tra gli acciacchi per salvare la porta di Szczesny. E in mezzo, senza Locatelli, c’è il vuoto.

Così il Bologna operaio fa la sua figura. Non ha niente da perdere e niente da vincere. Gioca per l’onore, con ordine e con quel pizzico di genio che anche una squadra di discreti gregari riesce a tirar fuori nelle condizioni migliori. Sinisa ne sarà orgoglioso. In questo campionato non l’ha mai vista così quadrata come da quando la guarda dalla tv della sua stanza di cura. È la prova che il carisma di un grande allenatore è un valore immateriale che si trasmette anche in assenza dei corpi.

Poi c’è Arnautovic. Che non è Cristiano Ronaldo, ma sa quello che vuole: è uno di quei centravanti che surrogano con l’avidità del gol una certa grazia mancante. Gli ultimi sei centri dei rossoblù sono suoi e, a vederlo, capisci che più gioca in Italia più impara a segnare.

Nella notte di Torino il campionato rimescola le carte. Se sia solo fumo, o se, piuttosto, i giochi stanno per riaprirsi, lo sapremo domani. Il copione del rush finale è nelle mani di Mourinho, l’unico personaggio leggendario di questa saga un po’ ingiallita che è ormai la serie A. Decide lui se la partita a tre in cima continua, o se lo scudetto diventa una cosa tutta milanese e si riapre la sfida per il quarto posto. Una Roma che battesse il Napoli al Maradona potrebbe far paura a una Juve ancora incredula della sua stessa incompiutezza. E perciò, oltre che modesta, anche depressa.


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