Diritti tv, se il piatto diventa più magro

Leggi il commento dopo l'annuncio dell'accordo rinnovato dalla Lega di Serie A con Dazn e Sky: i dettagli
Alessandro F. Giudice
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La ratifica dell’accordo per i diritti della Serie A, ufficializzata al termine dell’assemblea di Lega, è la cronaca di una sconfitta annunciata. Perde il calcio italiano, penalizzato da un accordo al ribasso, inferiore al ciclo precedente (triennio tutt’ora in corso) ma pure ai campionati concorrenti. Perdono i consumatori che dovranno abbonarsi a due piattaforme per altri cinque anni, con evidente duplicazione di costi, per ricevere un servizio che molti trovano insoddisfacente. Perdono, paradossalmente, le stesse emittenti: pagando di meno renderanno, in prospettiva, meno pregiato il prodotto stesso che vendono. Un esito così deludente (autentico lose-lose game) è la conseguenza logica di un meccanismo di assegnazione sbagliato, in cui il venditore ha di fronte due soli acquirenti. Accordandosi, questi formano un oligopolio collusivo che decide, in pratica, il prezzo finale.

L'offerta dei fondi nel 2020

La strada più corretta sarebbe stata la media company proposta anni fa, affondata dai veti incrociati e da interessi precisi che non volevano perdere il controllo del giocattolo. La scelta fatta invece dalla Liga (con gli stessi fondi di private equity come interlocutori) premiata dall’incremento nel valore dei diritti domestici del quinquennio 2022/27 oltre a quello dei diritti di trasmissione nei paesi extra-iberici. Nel 2020, la proposta dei fondi prevedeva un minimo garantito di 1100 milioni per i diritti di Serie A, migliorabile lavorando sul mercato. Con l’accordo raggiunto ieri, il calcio italiano ne incasserà 900 o forse un miliardo, nella migliore delle ipotesi, con una serie di proventi accessori. In aggiunta, i fondi avrebbero versato allora 1,7 miliardi cash per il 10% della media company, di cui la Lega avrebbe mantenuto il 90%: un valore immenso. Con una delle sue pirotecniche dichiarazioni, il presidente del Napoli ha tuonato contro l’accordo raggiunto, rivendicando l’idea alternativa del canale di Lega, ieri bocciata. Ma egli stesso fu tra coloro che rigettarono l’offerta dei fondi, ritenendola troppo bassa. Oggi sarebbe utile capire perché le cose vanno in direzione opposta rispetto alle valutazioni di allora.

La proposta di De Laurentiis

De Laurentiis ritiene più utile allestire un canale che produrrebbe autarchicamente i contenuti della Serie A ma la proposta non convince, per diverse ragioni. Anzitutto, non si vede con quali competenze un organismo collegiale spesso incapace di accordarsi su questioni di bassa cucina, saprebbe mettere in campo un prodotto competitivo, tecnologicamente sofisticato ed economicamente efficace. Produrre contenuti televisivi è un mestiere difficile, da professionisti. Un business rischioso che non genera solo ricavi ma assorbe ingenti investimenti e comporta costi di gestione. Chi ne sarebbe l’imprenditore? La Lega è un soggetto collettivo, deve mediare gli interessi (talvolta opposti) di tutti. Chi governerebbe il canale di Lega e come si potrebbe sterilizzarne l’inevitabile conflitto tra governance e portatori di interessi? Tutte domande senza risposta perché l’idea resterà inattuata per almeno cinque anni in cui il calcio dovrà consumare pasti più magri.


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