Vlahovic-Lukaku, il derby del destino
Ci serve uno come Lukaku, un centravanti che sappia giocare spalle alla porta, allunghi la squadra e porti tanti gol. Più o meno con queste parole, lo scorso febbraio, Allegri rilanciò l’operazione che nella prima - e anche ultima - estate di Sarri la Juventus aveva impostato per provare ad affiancare Big Rom a Ronaldo - Dybala il sacrificio designato. Paratici aveva così avviato un discorso col Manchester United che valutava Lukaku, in rotta con il club, 85 milioni. Settanta per Paulo e 15 per Mandzukic la controproposta. Ricordo che Mario aveva accettato subito il trasferimento.
Per tre settimane Dybala aveva invece tergiversato: non sembrava convinto. Per di più i suoi rappresentanti, Antùn e Carlos, avevano sparato altissimo: 10 milioni netti di stipendio più 6 alla firma, cifre non in linea con i parametri dello United, fermo a 7,5/8 più bonus.
E insomma Lukaku alla Juve era saltato, Dybala non si era mosso da Torino e per il belga si erano aperte le porte dell’Inter. Per inciso, dopo il no allo United era stato il Tottenham di Pochettino a muoversi, ma a quel punto Paratici aveva preferito tenersi la Joya.
Ci serve uno come Lukaku, già. Seguendo l’indicazione del tecnico il primo a muoversi - ora lo sappiamo - fu, intorno a marzo, il giovane ds Giovanni Manna: incontrò a Bruxelles l’avvocato che si occupa della parte contrattuale del centravanti, Sebastien Ledure. I contatti proseguirono telefonicamente. C’era tuttavia il Chelsea da convincere: gli inglesi non avevano alcuna intenzione di rinnovare il prestito con l’Inter, né di concederlo ad altre società.
Il rapporto tra Chelsea e Lukaku si insaprì nel momento in cui il giocatore si negò agli arabi dell’Al-Hilal che avevano messo sul piatto 40 milioni per il transfer più una somma definita folle per lui.
E siamo a inizio estate. Lukaku, assolutamente convinto di poter andare alla Juventus, si allenò da solo a Bruxelles aspettando notizie da Torino dove il management bianconero, in attesa dell’arrivo da Napoli di Cristiano Giuntoli, stava tentando inutilmente di cedere Vlahovic a una cifra superiore ai 70 milioni. Il Chelsea arrivò a offrire Lukaku più 20 milioni, ma la proprosta fu giudicata insoddisfacente.
Il resto è storia minima: a poche ore dalla chiusura del mercato Dan Friedkin si inserì e chiuse personalmente l’affare non senza difficoltà.
Lo scrittore John Galsworthy sosteneva che «la vita sceglie la musica, noi scegliamo come ballarla». A Roma Lukaku non ha avuto difficoltà a ballare la musica a lui più congeniale, quella del gol. E un rapporto iniziatosi con un caldissimo abbraccio a Ciampino è cresciuto esponenzialmente.
Vlahovic ha invece vissuto giornate non proprio brillanti e una parte della tifoseria bianconera ha cominciato a porsi domande sul suo effettivo valore.
Lukaku si trova talmente bene a Roma da avere chiesto ai collaboratori di fiducia di presentarsi con minore frequenza. Lasciato l’hotel nel quale ha soggiornato nelle prime settimane, ha preso in affitto una villa a Casal Palocco che divide spesso con la madre e i figli.
La sorprendente condizione fisica con cui si è ripresentato in Italia e che ha stupito lo stesso Mourinho deriva dal lavoro svolto con il preparatore, lo spagnolo Oscar Brau, e Lieven Maesschalck, una vita nella nazionale belga. Quest’ultimo ha fondato il centro ‘Move to cure’ e opera tra Bruxelles e Anversa. Fondamentali sono stati anche i consigli alimentari di Matteo Pincella, il nutrizionista dell’Inter e della Nazionale. Pasta sì, ma biologica e integrale, tisane, prodotti bio, l’importanza delle materie prime, patate dolci e riso nero.
Maesschalck, che in Belgio chiamano il “mago dei muscoli”, è l’uomo che ha consigliato a Lukaku di gestire bene l’allenamento invisibile: nei primi anni, per via della struttura fisica, Big Rom doveva allenarsi tutti i giorni: «Poi ha capito che anche il riposo è fondamentale per muscoli come i suoi».
Dopodomani all’Allianz Stadium i due si ritroveranno faccia a faccia. Per Lukaku sarà la prima volta dal 4 aprile scorso quando, durante la semifinale di coppa Italia (era all’Inter), fu bersaglio di cori razzisti puniti col daspo per 171 tifosi juventini.
