Simone Inzaghi e Thiago Motta, la ragione in cattedra

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Alessandro Barbano
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Cinque cambi e il cinque-tre-due tutto nella propria metà campo, per alzare la saracinesca che da ventotto giornate blinda la porta nerazzurra negli ultimi quindici minuti di gara. Sotto la pioggia del Dall’Ara, che non cessa di incoraggiare il Bologna, il prodigio di Inzaghi si replica. La più brutta Inter del 2024 strappa la decima vittoria e s’invola verso lo scudetto con diciotto punti di vantaggio. Le basta una contorsione di Bisseck, che approfitta dell’unica distrazione difensiva della retroguardia rossoblù e gela Skorupski bocciando di testa un traversone da sinistra. Il Bologna interrompe la sequenza di sei vittorie e s’inchina alla più completa squadra del campionato. Sul risultato pesa l’errore di Zirkzee, che a un quarto d’ora dal termine si libera nei pressi del dischetto e calcia sul portiere in uscita. Ma la squadra di Motta impone il suo dominio tecnico-tattico per tutto il secondo tempo e chiude con un crescendo che, di fronte alla capolista, vale come un titolo di merito. Chissà che sarebbe accaduto se l’allenatore italo-brasiliano avesse osato di più, schierando Castro in aggiunta, e non al posto di Zirkzee, e Orsolini prima del 79’.
Ma al netto della prudenza, peraltro comprensibile contro una squadra che può colpirti in contropiede in qualunque momento, la sconfitta non offusca la qualità e la padronanza caratteriale di questa ex outsider. «Ex» perché il Bologna di Thiago non ha alcun timore reverenziale, palleggia con autorevolezza, e punta a imporre il suo gioco anche contro le formazioni più forti. Il quarto posto che difende in classifica è fedele alla maturità raggiunta. Quanto all’Inter, il risultato premia la strategia sparagnina di Inzaghi, che risparmia Lautaro, Dimarco e Pavard, e roda i rientranti Calhanoglu e Thuram, in vista della gara di Champions di mercoledì con l’Atletico. Il regista non è ancora in palla, l’ala invece è annullata dalla efficace marcatura di Lucumi. Ma all’Inter bastano quindici minuti di percussione per affondare il colpo del vantaggio e poi controllare la gara, chiudendosi in un catenaccio strettissimo. Non è un bel vedere, ma racconta in controluce la razionalità di una squadra che compete su più fronti e dosa con saggezza le sue energie. Perché, messo ormai in tasca lo scudetto, la vera posta in gioco è l’Europa. Con un simile equilibrio la doppia cavalcata non è un miraggio.

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