Pagina 3 | Dal Pino esclusivo: "Lotito-Gravina è la battaglia sbagliata"

Inseguimento concluso. Dopo oltre due anni di caccia all’uomo, un formidabile conoscitore di media e tecnologia, la preda Paolo Dal Pino accetta di parlare di calcio, Lega, passato e senza futuro. Al telefono (a lungo presente alla voce ricavi, suoi). Lo fa da Rio, o forse Los Angeles. Oppure dal Bahrain? «Rio, Rio, sono a Rio, Ipanema, non puoi capire che giornata è...». Gli auguro tanta chuva, tanta pioggia. In una fase estremamente conflittuale del rapporto Lega-Figc la distanza anche intellettuale dell’ex presidente dei club di serie A ci consente di individuare le radici dei problemi legati al nostro non-sistema calcio. Un po’ di wiki per capire che non stiamo parlando di un improvvisato. Altri lo sono. Sessantadue anni, pavese, da ragazzo abitava nello stesso palazzo della famiglia De Filippi («stavamo al piano di sopra, Maria la conosco bene»). Negli anni 80 l’inizio della carriera manageriale nelle telecomunicazioni, gruppo Fininvest, area finance and control. Nell’87 il passaggio al Gruppo Mondadori, l’anno seguente è chief financial officer del Gruppo Verkerke, in Olanda. Tra il 1990 e il 2001 Dal Pino è uno dei massimi dirigenti del Gruppo Espresso: lancia repubblica.it e sviluppa il progetto Kataweb. Quindi Seat Pagine Gialle (La7, Mtv, Buffetti, «Pellicioli aveva messo dentro di tutto») e dal 2004 in Brasile, president of operation di Telecom Italia per l’America Latina. Nel 2006 eccolo ceo di Wind. Tra il 2008 e il 2011 senior advisor nel fondo olandese Cyrte Investments.

Nell’ottobre 2011 in Pirelli, presidenza operativa sempre per l’America Latina. Cittadino onorario di Rio de Janeiro («segna, segna che questo mi piace»), nel 2016 diventa ceo di Prometeon Tyre Group, l’ex Pirelli Industrial. Membro del Consiglio di Amministrazione di Sace dal 2016 al 2019, come consigliere indipendente, e dal 2008 al 2014, partecipa al CdA di Terna. Dimenticavo: nel 2018 era tornato alle tecnologie come ceo e piccolo azionista di Telit. Mezzo sudato, ’na faticaccia, vengo al punto. L’8 gennaio 2020 Dal Pino viene eletto presidente della Lega di A, enormi casini ma con la c minuscola («il Covid scoppiò giusto un mese dopo il mio insediamento»): lui sostenne la linea della riapertura al fianco del presidente Gravina che poi lo volle vicepresidente vicario della Federcalcio. Il primo febbraio 2022 PDP si è rotto gli zebedei di fondi bocciati, media company saltate e altre conflittualità e ha deciso di tornare a seguire personalmente le sue attività in California. «Ricevetti numerosi colpi bassi a livello personale, per non parlare delle insinuazioni da querela. In Lega vige la logica della distruzione anche del prossimo, non quella della costruzione... Il presidente risponde per legge con i propri beni personali. Quindi anche solo per lo spostamento di una partita c’è chi ti manda la lettera dell’avvocato minacciando azioni risarcitorie milionarie. A me queste cose fanno sorridere, ma ad alcuni favoriscono sudditanze nei confronti dei prepotenti».


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Perché decidesti di entrare nel calcio?

«Non abbandonai le mie attività e comunque assunsi la presidenza, ero istituzione, l’operatività è demandata all’ad, De Siervo. Mi piaceva l’idea di partecipare a un cambiamento epocale del calcio italiano. La media company, lo sviluppo tecnologico, l’ingresso dei fondi. Tutto riportava alle mie conoscenze, al mio specifico. La trasformazione della Lega era un obiettivo molto stimolante».

Oggi la Lega rivendica l’autonomia totale secondo una logica Premier.

«Discorso sterile. Ancora una volta per distrarre l’attenzione dai problemi reali. La Lega è già totalmente autonoma per quanto riguarda l’organizzazione del campionato e della Coppa Italia, la commercializzazione dei diritti tv e lo sviluppo del brand. L’occasione per diventare più solidi, più forti e con una visione imprenditoriale si è persa quando l’assemblea, in piena autonomia, non ha voluto aprire alla media company, ai fondi d’investimento e al cambio della governance».

Chi il responsabile o i responsabili del fallimento?

«Solo e soltanto una maggioranza colpevole che non esercita il proprio ruolo di guida. La serie A è una delle poche realtà che conosco dove la minoranza detta l’agenda. Dove vince chi alza la voce e chi è più prepotente».

Per questo puntasti al cambiamento della governance.

«Serviva e serve ancora una governance efficiente, professionale, in grado di controllare il proprio destino di impresa che vive di diritti tv. I media erano e restano le uniche soluzioni. Indipendentemente dai fondi. Auspico perciò che la Lega riprenda il percorso della media company e del cambio di governance. Più si ritarda questo processo e più la serie A perderà terreno rispetto agli altri tornei. Oggi è un campionato colpevolmente marginalizzato. E le cose peggioreranno con la SuperChampions. Era chiaro già allora che un torneo del genere avrebbe reso periferici i campionati nazionali e nulla è stato fatto per contrastare la bulimia di Uefa e Fifa. Grave errore, in tal senso, la demonizzazione dei fondi: avrebbero garantito 1 miliardo e 700 milioni a un sistema che ne perdeva e ne perde 5».


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Garantire 5 anni di diritti a un media terzo significa accontentarsi della “stabilità verso il basso” a scapito del progetto imprenditoriale.

«Esattamente. MLS, Saudi Pro League e altri progetti dreneranno risorse. Sopravviveranno solo le Leghe che saranno virtuose nelle loro scelte. Con De Siervo, partendo dalla media company, avevamo cominciato a trattare con Apple per una app della serie A. Oggi accendo la tv e in Brasile vedo incredibilmente passare delle partite della Mls e della Saudi League. Messi e Ronaldo sono ovunque, anche i mercati del Middle East hanno perso interesse nel nostro torneo».

Cosa si potrebbe fare ora per provare a rimediare?

«La Lega si deve svegliare. L’upgrade è necessario. La piantino di distogliere l’attenzione dall’unico vero tema».

Quale?

«Prendere in mano il proprio destino e disegnare una strategia sostenibile. Basta con gli alibi, le liti, i personalismi, Lotito contro Gravina. Non c’è più tempo da perdere. La Figc ha gli stessi obiettivi della Lega. Ripeto: le big o presunte tali dovrebbero dialogare per costruire».

Cosa pensi oggi di Andrea Agnelli?

«Ha vinto nove campionati di fila. Come lui, nessuno. Il suo voltafaccia sui fondi? Troppo preso dalla Superlega, come l’Inter. Tre giorni prima del voto decisivo le due si defilarono. Errare humanum est».

E perseverare disumanum ovest. De Laurentiis?

«Avrebbe potuto essere un genio. Si deve accontentare di essere soltanto quasi santo avendo vinto lo scudetto a Napoli».

Lotito?

«Ha divorato nella culla i saggi del Machiavelli. A cosa gli serve buttar giù Gravina? Ritiene che sarebbe utile al calcio italiano? No, te lo assicuro».

Avrà le sue ragioni.

«Siamo ancora alla distinzione tra torto e ragione? L’unica strada percorribile è quella della condivisione dei progetti per salvare un calcio che fa acqua e debiti da tutte le parti. Attenzione all’effetto Superchampions. E se poi dovessero giocare le coppe otto o nove italiane, auguri serie A».

Chiudi con Gravina.

«Gli voglio bene… ma chi glielo fa fare?».

Tutto ciò che comporta essere il numero 1 del calcio italiano, il potere, un’indiscutibile centralità in un settore vitale.

«Non per il fegato».


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Garantire 5 anni di diritti a un media terzo significa accontentarsi della “stabilità verso il basso” a scapito del progetto imprenditoriale.

«Esattamente. MLS, Saudi Pro League e altri progetti dreneranno risorse. Sopravviveranno solo le Leghe che saranno virtuose nelle loro scelte. Con De Siervo, partendo dalla media company, avevamo cominciato a trattare con Apple per una app della serie A. Oggi accendo la tv e in Brasile vedo incredibilmente passare delle partite della Mls e della Saudi League. Messi e Ronaldo sono ovunque, anche i mercati del Middle East hanno perso interesse nel nostro torneo».

Cosa si potrebbe fare ora per provare a rimediare?

«La Lega si deve svegliare. L’upgrade è necessario. La piantino di distogliere l’attenzione dall’unico vero tema».

Quale?

«Prendere in mano il proprio destino e disegnare una strategia sostenibile. Basta con gli alibi, le liti, i personalismi, Lotito contro Gravina. Non c’è più tempo da perdere. La Figc ha gli stessi obiettivi della Lega. Ripeto: le big o presunte tali dovrebbero dialogare per costruire».

Cosa pensi oggi di Andrea Agnelli?

«Ha vinto nove campionati di fila. Come lui, nessuno. Il suo voltafaccia sui fondi? Troppo preso dalla Superlega, come l’Inter. Tre giorni prima del voto decisivo le due si defilarono. Errare humanum est».

E perseverare disumanum ovest. De Laurentiis?

«Avrebbe potuto essere un genio. Si deve accontentare di essere soltanto quasi santo avendo vinto lo scudetto a Napoli».

Lotito?

«Ha divorato nella culla i saggi del Machiavelli. A cosa gli serve buttar giù Gravina? Ritiene che sarebbe utile al calcio italiano? No, te lo assicuro».

Avrà le sue ragioni.

«Siamo ancora alla distinzione tra torto e ragione? L’unica strada percorribile è quella della condivisione dei progetti per salvare un calcio che fa acqua e debiti da tutte le parti. Attenzione all’effetto Superchampions. E se poi dovessero giocare le coppe otto o nove italiane, auguri serie A».

Chiudi con Gravina.

«Gli voglio bene… ma chi glielo fa fare?».

Tutto ciò che comporta essere il numero 1 del calcio italiano, il potere, un’indiscutibile centralità in un settore vitale.

«Non per il fegato».


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