BERGAMO - Quella che doveva essere, e lo è sicuramente stata, una grande festa per i tifosi dell'Atalanta si è probabilmente trasformata nell'innesco di una "bomba letale" stando a quanto trapela dall'unità di crisi della Protezione Civile. La partita del 19 febbraio di Champions League (andata degli ottavi di finale) tra i nerazzurri e il Valencia sarebbe stata la cosiddetta "gara zero", quella che ha fatto esplodere il contagio da coronavirus in tutta la Lombardia e, successivamente, anche in Spagna. 45mila i tifosi, tra italiani e iberici, che hanno affollato le tribune del Meazza per quella storica partita.
Tutto è cominciato sulla metro
In quella serata di febbraio - ha raccontato una giornalista a Calciomercato.com -, uno dei convogli della linea 5 che avrebbe portato tutti a San Siro, ha visto tanti tifosi, tutti accatastati come (anzi di più) in un comune lunedì mattina per andare a lavoro. Sulla carozza seguente centinaia di "rivali" del Valencia, anche loro stretti uno sull'altro. Tra loro probabilmente c'era n'era già qualcuno contagiato dal Covid-19, che aveva già fatto la sua comparsa nel regione valenciana, come hanno successivamente rivelato le autopsie. Fischi e slogan contro l'Atalanta da parte dei giallorossi, 'buu' di risposta da parte dei nerazzurri. Poi, all'uscita dalla metro intasata, la calma, gli scambi di gagliardetto e anche foto ricordo. Ma soprattutto - ha proseguito - un particolare: in molti si passavano lo stesso bicchiere di birra, prima di offrirlo agli ultrà nerazzurri di passaggio, tutti accomunati dal brindisi ad una serata storica. Ma in comune, settimane più tardi, è rimasto solo un incubo.
Gara alto rischio, motivazione sbagliata
La giornalista ha spiegato anche come Atalanta-Valencia fosse stata classificata come una gara ad alto rischio. Più di un'ora d'attesa tra le 18.30 e le 20 con un cordone di poliziotti che fermava il serpentone nerazzurro ogni 5' per far passare i tifosi spagnoli. C'era il timore di scontri, pronti ad essere documentati, a causa del gemellaggio tra i valenciani e gli ultras interisti della Curva Nord. La motivazione, col senno di poi, si è rivelata sbagliata: nessuno scontro, anzi, i tifosi Murcielagos si mischiarono come nulla fosse ai sostenitori della Dea, consumando panini sotto le stesse bancarelle. L'ampio spiazzo di San Siro divenne improvvisamente stretto con l'assembramento di 43mila atalantini e 2500 valenciani. Pieno anche di anziani, i più fragili, ma anche quelli che non potevano mancare dopo aver seguito la squadra sia in Serie B che in Serie C.
L'errore...da Valencia
A fine gara, in una sala stampa oberata di persone, l'incrocio al buffet con Kike Mateu, il giornalista valenciano che poi risultò positivo al coronavirus. Tra bagni, banchi con i computer e tavolo ristoro era impossibile non venire a contatto. Una settimana più tardi Mateu venne ricoverato in ospedale: troppo presto per aver contratto il virus a Milano. E, come emerge dalle ipotesi della Protezione Civile, è molto proabile che il contagio lo avesse portato già in valigia da Valencia. Insieme a tanti altri portatori sani, che si sono salutati tra strette di mano e abbracci a fine gara con lo scambio di numeri per rivedersi poi al Mestalla. Solo per un soffio la giornalista ha evitato la gara del 10 marzo. Solo perchè il suo areo, quello che doveva decollare alle 9 di domenica, era stato anticipato di qualche ora dal decreto che ha reso la Lombardia zona rossa. Altrimenti avrebbe preso parte in pieno ad un altro assembramento, quello più grave perchè avvenuto dopo, con una tragedia già in atto sia a Bergamo che a Valencia. Ma la seconda bomba, a differenza della prima, si poteva disinnescare.