Juve, il “buco” parte da Ronaldo

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Juve, il “buco” parte da Ronaldo© ANSA
Alessandro F. Giudice
4 min

Il CdA della Juventus non ha licenziato Max Allegri ma “solo” la bozza del bilancio 2021/22 da sottoporre poi all’approvazione dell’Assemblea degli azionisti. Un bilancio pesante, da 254,3 milioni di perdita d’esercizio, come già anticipato dai conti semestrali della Exor pubblicati due settimane fa. Le questioni tecniche non sono di competenza del consiglio, ma dell’amministratore delegato, che disporrebbe dei poteri per ingaggiare un nuovo allenatore. Arrivabene aveva già lasciato capire di non voler farlo. Il tema della guida tecnica non ha solo risvolti sportivi, ma potrebbe toccare la sfera finanziaria. Ad esempio, se la squadra non superasse il girone di Champions o se non riuscisse a centrare uno dei primi quattro posti al termine della stagione. Senza precorrere i tempi, il bilancio resta un dossier molto preoccupante per una società che aveva dichiarato di perseguire il graduale riequilibrio economico-finanziario.

Prima di analizzare la relazione annuale nei dettagli si può dire poco, ma l’ordine di grandezza della perdita polverizza quasi due terzi dell’aumento di capitale (400 milioni) collocato sul mercato solo nove mesi fa. Il “rosso” 21/22 si somma a quello degli ultimi quattro anni, superando i 600 milioni di ricchezza distrutta nell’ultimo quinquennio, un deficit economico coperto dagli azionisti con due apporti di complessivi 700 milioni negli ultimi tre anni. Preoccupa soprattutto l’accelerazione delle perdite, perché la voragine dell’anno appena trascorso supera addirittura quella, già abissale, del 19/20. La pandemia ha certamente contribuito ma non spiega tutto, perché l’impatto dei mancati ricavi da stadio nel triennio è quantificabile in 100 milioni, forse 120, ma il resto delle perdite discende da un modello di business insostenibile, basato su acquisti costosi e sulla ricerca della supremazia sportiva attraverso un monte ingaggi che resta, ancora oggi, il più oneroso di tutto il campionato a dispetto di risultati sportivi deludenti da due anni. L’operazione CR7 ha arrecato un danno gravissimo perché, a fronte di un costo complessivo che ha sfiorato i 300 milioni, non ha prodotto ritorni economici adeguati allo sforzo. La Juve ha cercato di proiettarsi su una dimensione internazionale, di agganciare il treno dei top club da oltre 600 milioni di ricavi (in realtà sono stati 443), e non ha mai raggiunto questi livelli. Per aiutarsi nell’impresa, ha cercato di colmare il divario di ricavi che penalizza la Serie A rispetto alla Premier ricorrendo massicciamente negli anni al player trading: la cessione di Pogba allo United, nel 2017, fu certamente l’operazione più riuscita. Negli ultimi anni questa capacità si è fortemente ridotta, non solo per il crollo dei valori dei cartellini riscontrato durante la parentesi del Covid, ma anche per la scarsa qualità delle operazioni in entrata. La ricerca della grandeur sembra aver prodotto nella dirigenza una perdita di cognizione dei valori economici: solo così si spiegano acquisti come Kean e Locatelli (oltre 70 milioni) o l’off erta di ingaggi astronomici nel passato a giocatori non eccezionali come Rabiot e Ramsey, trasformatisi in zavorre pesanti e difficili da smobilizzare. Nelle ultime sessioni di mercato la dirigenza ha oscillato tra colpi costosissimi - seppure per giocatori di sicuro talento come Vlahovic (costato oltre 90 milioni), Chiesa e Bremer - e la ricerca di parametri zero suggestivi ma dall’ingaggio pesante, come Di Maria e Pogba, finora poco produttivi sul campo. Le ultime campagne sono state finanziate anche dalle uscite di De Ligt, Kulusewski e Bentancour: con qualche rimpianto, perché cedere per fare cassa comporta il rischio di perdere i pezzi più richiesti dal mercato. Nel 22/23 il costo della rosa sembra in netto calo dopo le uscite di Dybala, Bernardeschi, Chiellini, De Ligt ma l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2023 pare ormai un miraggio.


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