Juve, il disordine allo specchio

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Juve, il disordine allo specchio© ANSA
Alessandro Barbano
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Le lacrime di Fagioli non dicono la sconfitta quanto il sorrisetto beffardo del piccolo Maxime Lopez, un metro e sessantasette di genio che, con la complicità di Frattesi, “mata” la Juve e la stende come fa un torero con la sua preda. Il secondo tonfo consecutivo dei bianconeri in campionato non è figlio dell’errore del giovane regista piacentino, ma della subalternità che a centrocampo la squadra di Allegri soffre contro molte rivali di serie A. Al netto dell’ennesima evanescente prova di Vlahovic e Milik, è nel triangolo di incomprensioni e automatismi mancati tra Paredes, Fagioli e Rabiot che si racconta una delle più brutte gare della stagione. Il riesumato regista argentino, che in settimana ha rivendicato con un confronto al limite del diverbio il diritto a un posto da titolare, ha ripagato il tecnico con una prestazione imbarazzante. A dimostrazione di come il centrocampo sia il buco nero di questa squadra, nonostante ogni tentativo di Allegri di cambiare uomini e moduli, passando tra il 4-4-2, il 4-3-3 e il 3-5-2. Contro il Sassuolo la Juve ha mostrato, nella forma più plastica, un deficit di gioco che l’affligge dall’inizio della stagione e che dà a tratti la sensazione di una squadra sfilacciata, lenta e troppo lunga, dove ogni scelta tecnica sembra rimessa all’inventiva o piuttosto all’abulia dei singoli.

Manca un linguaggio condiviso

Il collettivo è l’incompiuta di Allegri nella sua seconda esperienza bianconera. È un disordine irrisolto che rischia di diventare un tratto identitario. Lo conferma il fatto che, quando a due terzi di gara il tecnico livornese inserisce Cuadrado, Di Maria e Chiesa, che aveva fin lì risparmiato in vista dell’impegno di Europa League con lo Sporting, la confusione, anziché ridursi, aumenta. E perfino a pochi minuti dal termine, con uno svantaggio da recuperare, accade che si perda palla con passaggi platealmente sbagliati tra calciatori che non sono in grado di comunicarsi reciprocamente le intenzioni. La Juve non ha un linguaggio condiviso, e perciò non ha un gioco in grado di stabilizzare un’egemonia. Poi, certo, il Sassuolo non è una provinciale classica, ma un outsider che, anche in un campionato non particolarmente brillante, riesce a battere Roma, Milan e Atalanta e, da ultimo, la Juve. Con un centrocampo in grado di giocare tra le linee e di interdire rubando un mucchio di palle agli intontiti rivali bianconeri, i ragazzi di Dionisi potrebbero condannare Allegri a una sconfitta ben più sonora, se Ceide e Harroui sapessero sfruttare le occasioni che il contropiede gli offre. In ogni caso l’equilibrio tattico della formazione neroverde è l’immagine riflessa e rovesciata dello scompenso bianconero. Che, a dispetto di ogni tentativo di porvi riparo, si avvia ormai a rappresentare l’autobiografia di una gestione.


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