Andrea Agnelli ha violato la lealtà sportiva durante le famose “manovre stipendi” della Juventus, delle quali è considerato colpevole e principale artefice, ma la Corte federale d’Appello ha riconosciuto all’ex presidente bianconero delle attenuanti. Tre su tutte: il contesto di crisi legato alla pandemia (si parla delle stagioni 2019-20 e 2020-21), il fatto che tali operazioni non abbiano inciso sul piano del rispetto degli impegni finanziari del club e la considerazione che le violazioni del principio di competenza contabile hanno avuto una durata limitata nel tempo. E così lo scorso 28 agosto la Corte presieduta da Mario Luigi Torsello è passata da una squalifica di 16 mesi (decisione di primo grado del tribunale federale) a una di 10 mesi, che si aggiunge ai 2 anni di stop già inflitti ad Agnelli per la questione plusvalenze, passati in giudicato per la giustizia sportiva con la sentenza del Collegio di Garanzia.
Accordi
Tramite gli accordi privati con i tesserati nel periodo Covid, la Juve avrebbe evitato «l’apposizione in bilancio di costi e/o debiti per circa 90 milioni» restituendo poi i soldi in un secondo momento ma con l’omissione di depositare gli accordi integrazione già conclusi. Dopo la sentenza, nei giorni scorsi, la Corte d’Appello nelle sue motivazioni ha spiegato come «con questo, non vuol certo dirsi che le manovre stipendi possano essere giustificate, stanti le conclamate violazioni accertate e confermate con questa decisione, ma solo che esse non sono state adottate in un contesto ordinario per fare fronte ad esigenze di bilancio prevedibili (il che avrebbe potuto addirittura comportare una aggravante), ma in una situazione di crisi sistemica derivante in gran parte dalla emergenza sanitaria in atto». Ha giocato un peso nella rimodulazione della pena - ridotta anche la sanzione economica di AA, da 60 a 40 mila euro - anche il famoso patteggiamento stipulato dal club e dagli altri dirigenti con la procura Figc: 718 mila euro di multa alla Juve, 47 mila a Paratici, 35.250 a Nedved, 32.500 a Cherubini, 18.500 a Gabasio, 15 mila a Morganti, 11.750 a Manna e 10 mila a Braghin (250 euro a testa per ogni giorno di inibizione). L’ex presidente è l’unico a non essere “sceso a patti”, visto che l’accordo col procuratore prevedeva la rinuncia ai ricorsi sulle plusvalenze, e secondo la Corte d’Appello la nuova sentenza «appare anche maggiormente equilibrata rispetto a quanto concordato dalle difese con la Procura nei patteggiamenti».