© ANSA Juve, Vlahovic e la libertà di labiale
Non è neanche il caso di scomodare Orwell e il suo “1984”, con questi poveracci così coatti, così compressi, così spiati dall’occhiuto Grande Fratello, da non riuscire più a respirare. Qui siamo a un livello molto più infimo, settore bassa macelleria, diciamo dentro a un telefilm americano, quelli di una volta, quando il poliziotto metteva le manette al farabutto e gli pronunciava la famosa formula «... ogni parola potrà essere usata contro di te», eccetera eccetera.
Siamo nell’epoca d’oro della privacy tutelata e controfirmata in tutto e per tutto, ma continuiamo imperterriti a sbirciare in tutti i buchi della serratura. Siamo al punto che è un labiale usato in un certo modo a costruire la realtà più funzionale al mercato. Con un buon labiale puoi tenere in piedi mezz’ora di dibattito, puoi elaborare titoli ficcanti, puoi persino incidere negli equilibri di una squadra. Poi ti credo che la gente va in giro in quel modo pietoso, con la mano davanti alla bocca, eventualmente rimettiamoci la mascherina delle pandemie, perché no, è un’idea...
È così moderno, tutto questo? Può darsi davvero che siamo arrivati molto avanti. Nella stagione sinistra dei dossieraggi, degli spioni informatici, delle voci finte ricostruite con l’Intelligenza Artificiale per spillare soldi ai Moratti, siamo qui a impiccare Vlahovic sul labiale di Como. Ma come nel “1984” di Orwell, la sensazione è che ci siamo conquistati questo paradiso sacrificando qualcosa di parecchio prezioso, qualcosa che nonostante tutto vale ancora tutto, la libertà. Il fatto è che indietro non si torna.
