Lazio, senza Simone Inzaghi un salto nel buio

Lazio, senza Simone Inzaghi un salto nel buio© © Marco Rosi / Fotonotizia
Alberto Dalla Palma
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Se non ci saranno ribaltoni dell’ultima ora, la grande storia d’amore tra Simone Inzaghi e la Lazio si è conclusa domenica notte a Reggio Emilia. Ventuno anni da Libro Cuore, ma soprattutto cinque da top manager, considerando il rapporto tra il valore complessivo della squadra (titolare) e i risultati raggiunti: 2 Supercoppe, 1 Coppa Italia, 1 finale persa, 4 qualificazioni all’Europa League, 1 qualificazione in Champions, 12 vittorie consecutive in casa e, soprattutto, un sogno da scudetto interrotto solo dalla pandemia. A marzo dell’anno scorso la Lazio stava volando, aveva battuto per due volte la Juve di Sarri ed era impegnata in una sola competizione, situazione ideale per un allenatore che poteva contare solo su dodici o tredici giocatori. Poi, il crollo alla ripresa, i big a pezzi e i loro sostituti assolutamente inadeguati, come accade da anni e come è accaduto nella stagione che si è appena conclusa, nonostante il presidente Lotito avesse stanziato quasi 40 milioni per rinforzare la rosa. Soldi spesi per un attaccante indecifrabile come Muriqi, due gol e una serie di partite inguardabili da titolare nelle ultime giornate, Fares, esterno chiesto dal tecnico per dimenticare i flop di Jony e Durmisi sulla corsia sinistra, Akpa Akpro, Kiyine e Anderson, tre giocatori della Salernitana che andava finanziata per la scalata alla serie A, Pereira e due giocatori a costo zero, Hoedt e Musacchio, che sono andati a fondo appena c’è stato bisogno di loro. Se davvero è finita la sua avventura alla Lazio, a Inzaghi resterà il rimpianto di non essersi battuto per una campagna acquisti diversa dopo il salto in Champions: il crollo nel finale della stagione scorsa aveva aperto grandi interrogativi sulla difesa, tanto che il ds Tare aveva trattato a lungo Kumbulla prima di destinare all’improvviso una cifra colossale (per il club) sull’acquisto di Muriqi, destinato comunque a restare all’ombra di Immobile, Correa e anche di Caicedo, che dopo Muriel è stato per anni la miglior terza punta del campionato. Inzaghi, aziendalista e innamorato della Lazio, si è adeguato come sempre e adesso è costretto a pagare il conto per una squadra che ha conquistato tre trofei ed è rimasta sempre tra le prime sei-sette posizioni quando è scesa in campo con le sue stelle. Ci riferiamo soprattutto a Luis Alberto, Milinkovic e Immobile, i grandi colpi del ds Tare su cui è nata una Lazio vincente. Colpi ormai datati, dopo i quali sono arrivati nel gruppo dei titolari solo Acerbi, Lazzari e Marusic: per il resto, soltanto brutte controfigure dei titolari.
     Adesso Lotito vuole correre il rischio di cambiare tutto, ma chi meglio di Inzaghi può gestire la squadra di un club che non ha mai cercato di fare il vero salto di qualità? Inserito nelle dinamiche più difficili, Simone per il presidente è stato a lungo anche un parafulmine, grazie al suo amore per la Lazio e al suo rapporto con la piazza. Niente da eccepire sul valore di Gattuso, sia chiaro, ma le perplessità sull’adattabilità di un tecnico che gioca in modo completamente diverso da Inzaghi sono davvero tante: la Lazio, come tutte le altre società, non naviga nell’oro e non sembra avere la forza economica per rilanciare cambiando una decina di giocatori. Potrebbe sacrificare una stella (Milinkovic) o due (Correa) e reinvestire l’incasso, ma sarà sufficiente per ripartire? Quali sono gli esterni in grado di ricoprire i ruoli di Insigne e Politano nel Napoli? Chi sarà l’erede di Lulic, destinato ad un doloroso addio? E ancora, chi saranno il centrale accanto ad Acerbi e il successore di Leiva? Gattuso, più di quanto ha fatto Inzaghi, riuscirà a dettare la linea per evitare che tante altre comparse sbarchino a Formello? Domani è il giorno decisivo, chissà che il faccia a faccia con Simone non consigli a Lotito di evitare un salto nel buio.


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