Immobile resta la nostra speranza

Immobile resta la nostra speranza© Getty Images
Alberto Dalla Palma
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Il sogno lo aveva acceso Ciro Immobile in avvio, con un gol che ha il sapore del Mondiale: Pepe sbriciolato in contropiede, poi la rasoiata sul primo palo che ha fatto esplodere l’Olimpico come ai vecchi tempi. C’era l’atmosfera giusta, finalmente il popolo biancoceleste accanto alla squadra per cercare un’impresa che non era facile. Il Porto è una macchina da guerra, sta dominando il suo campionato, ha perso l’ultima partita a dicembre contro l’Atletico Madrid e negli ultimi anni ha sbattuto fuori dall’Europa Milan, Roma e Juve: ma Ciro lo stava domando, dopo una settimana a letto, quasi da solo. Prima del vantaggio, un capolavoro annullato per fuorigioco, e dopo l’1-0 ancora una prodezza annientata per un piede oltre la linea tracciata dal Var. Ma in quel caso l’errore era stato di Felipe Anderson, nella posizione giusta per realizzare il 2-0 e mettere la sfida contro i portoghesi sul binario giusto: ma il brasiliano ha scelto la soluzione più comoda, servire il capocannoniere del campionato e affidare a lui il compito di timbrare il sorpasso. Ciro, però, era in fuorigioco e così la partita è rimasta aperta, a disposizione di Sergio Conceiçao e alla sua capacità di interpretare le diverse fasi di gioco. Mancini, in vista del possibile spareggio con il Portogallo, deve solo sperare che Immobile resti in piedi nonostante gli sforzi a cui viene sottoposto nella Lazio, dove non ha alternative.

L’intervento da rigore commesso da Sergej Milinkovic era stato giudicato dall’arbitro solo una simulazione di Taremi, ma il Var, molto generosamente, ha capovolto il verdetto e anche la sfida tra Sarri e l’ex idolo biancoceleste, applauditissimo da tutto lo stadio. Sull’1-1 la Lazio si è quasi spenta, tramortita dalla realtà dopo l’illusione: eppure quando hai uno come Immobile, un Diavolo con l’anima infinita, non puoi mai mollare, distrarti, cedere il passo davanti ai rivali perché Ciro può tutto o quasi. Invece la squadra di Mau non ha avuto la forza di rialzarsi neanche all’inizio della ripresa, quando le sostituzioni di Leiva (per Cataldi) e di Radu (per Hysaj) l’hanno spenta almeno quanto il raddoppio di Uribe, favorito da un’amnesia difensiva colossale. Ed è proprio per questo che non comprendiamo l’atteggiamento di quei tifosi che fischiano Acerbi, dopo lo scontro di qualche mese fa e per il quale il centrale ha già chiesto scusa: l’ex del Sassuolo è di gran lunga il più forte difensore della Lazio (d’altronde se i rivali sono Luiz Felipe e Patric non ci vuole molto) ed è difficile che Sarri possa rinunciare a uno come lui nella fase finale del campionato e probabilmente anche per il futuro, visto che gli attuali titolari se ne andranno da Roma a costo zero. In cassa non ci sono soldi per affrontare la rivoluzione sul mercato, quindi sarebbe meglio che la società cercasse di gestire la pace tra Acerbi e la curva piuttosto che tacere e far finta di niente. Il presidente Lotito non ha sempre detto che la Lazio è una famiglia (tema riaffrontato durante la cena di Natale) e che nel suo gruppo di lavoro vige il motto più popolare dei quattro moschettieri, “uno per tutti e tutti per uno”? Ecco, sarebbe arrivato anche il momento di dimostrarlo dando una mano al giocatore, che è in evidente difficoltà per quanto sta accadendo intorno a lui.

Il finale della Lazio ha lasciato l’amaro in bocca a Sarri e anche a tutti i tifosi, perché se solo il gol del 2-2 fosse arrivato una decina di minuti prima la partita sarebbe probabilmente andata ai supplementari: le occasioni più grandi le ha avute Luis Alberto, ma le prodezze del portiere portoghese e una traversa hanno fermato il Mago. Ci è voluto l’ennesimo spunto di Immobile per creare il gol di Cataldi, ma ormai il tempo era quasi finito e così, la sera del 24 febbraio, la squadra di Sarri si è ritrovata fuori dalle Coppe. Le resta il campionato e la consapevolezza che il suo tecnico ha sempre sostenuto la tesi che lavorare tutta la settimana per una sola partita produce un vantaggio enorme. Da qui a maggio Sarri non dovrà più fare il regista, come si è definito nelle ultime settimane («non alleno più sul campo, sto sempre davanti al video»), ma solo l’allenatore: e allora sognare di nuovo l’Europa si può, eccome.


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