Lazio, Lotito: "Grida al miracolo chi non ci considerava"

Una lunga chiacchierata con il presidente della squadra biancoceleste per la prima volta seconda in A sotto la sua gestione. E lancia una nuova sfida per il futuro
Lazio, Lotito: "Grida al miracolo chi non ci considerava"© Andrea Staccioli / Fotonotizia
Fabrizio Patania
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ROMA - Settantacinque minuti di telefonata, chiusa nel modo tradizionale e con la solita domanda, usando lo slang romano («Che se dice?»), come succede da diciannove anni ogni volta in cui Lotito è orgoglioso del risultato raggiunto, trasuda soddisfazione (concediamoglielo) e ormai ci ha raccontato quasi tutto o quello che vuole, nei limiti del consentito. Era una chiacchierata, non un’intervista, altrimenti la conversazione non sarebbe durata a lungo. Alcuni concetti virgolettati per acquistare forza e raccontare l’impresa del secondo posto in campionato, così come l’ha descritta. Prima volta sotto la sua gestione, quarta in assoluto e nella storia del club biancoceleste in Serie A dal 1929. Non è un traguardo banale per quanto il Napoli si fosse involato con larghissimo anticipo e vantaggio incolmabile verso lo scudetto. «Ma voi a che posto mettevate la Lazio a inizio stagione?». La dolce provocazione di Claudio, appena ci ha risposto al telefono (erano le 11,30), è stata inevitabile. Vale il concetto e la profonda convinzione per cui stava lavorando, in prima persona, dal luglio scorso. «Noi ci credevamo. Solo chi all’inizio non ci considerava ora grida al miracolo. E’ stato fatto un buon lavoro, ognuno ha contribuito per la propria parte, i meriti per la Champions sono da dividere tra tutti». Il miracolo, per la verità, lo aveva evocato Sarri e gli abbiamo dato ragione in tanti, ma va bene lo stesso. Squilla l’altro telefono, ci lascia in attesa, ripetendo lo stesso concetto. «Non mi piace quando le sconfitte sono di tutti e i meriti di uno solo» ma sbagliereste a pensare che stesse parlando di Sarri, a cui ha affidato l’ispirazione strategica del futuro. Riprende il discorso. «So già cosa vuole. Parliamo tanto e di investimenti, forse ci incontreremo ma lo sento ogni giorno al telefono. Ci dirà le caratteristiche funzionali al suo calcio. Poi vedremo cosa riusciremo a realizzare, come la scorsa estate. L’allenatore deve fare l’allenatore, al resto penseremo noi. Sto continuando a strutturare la società». E’ stata la vittoria del gruppo, delle motivazioni, di una mentalità vincente rispetto al passato. «La Lazio deve essere rispettata per quello che è. Esiste una proprietà certa dal punto di vista civilistico, ho mantenuto il numero di matricola in Federazione, evitando il fallimento. Sotto l’aspetto emotivo, sono il custode del sentimento popolare. Non è più la Lazietta di una volta, come usavano chiamarla. Penso che storicamente la tendenza ad accontentarsi e non sforzarsi di andare oltre le proprie possibilità dipendesse dal non avere un riferimento sicuro. Lo vedo anche in altri club, magari spendono tanto e fanno dei risultati, perché comprano giocatori forti, ma non hanno una proprietà e restano al di sotto del potenziale. Mancano il senso identitario e di appartenenza. Il calcio è uno sport di squadra, non individuale. Non conta arrivarci vicino. Per vincere, devono concorrere tutte le componenti della società. E bisogna tirare fuori il massimo». Ci svela un retroscena, citando per l’ennesima volta la celebre frase di Vittorio Alfieri, poeta e drammaturgo del Settecento. “Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli”. «L’ho fatta scrivere sul muro, nel corridoio che porta allo spogliatoio di Formello in modo che i giocatori la leggano ogni giorno».

Lazio, le parole di Lotito a stagione chiusa

Lotito, negli ultimi mesi, non è stato solo presidente e senatore della Repubblica. Si è occupato di mercato e di trattative, ha fatto il club manager, confessando anche singolarmente i giocatori. Ci sono stati dei momenti critici durante la stagione. A settembre, dopo la cinquina presa dal Midtjylland in Danimarca, e poi a metà aprile, quando la Lazio a un passo dalla Champions si era quasi fermata. E’ intervenuto più volte. «Dopo la sconfitta con il Torino sono entrato nello spogliatoio e ho chiesto. Mi spiegate perché sino alla fine della settimana andavate a mille e avete battuto anche la Juve e ora non più?». Quando gli abbiamo chiesto quali fossero state le risposte, Lotito ha protetto la squadra: «A volte succede. Io volevo che ognuno si prendesse le proprie responsabilità. Ho un bel rapporto con i giocatori, ho stabilito un patto. Loro sanno che mantengo la parola». A settembre aveva già pagato gli stipendi di febbraio. Oggi verserà un altro premio ai giocatori, forse un bonus legato al secondo posto, lo aveva promesso prima delle partite con Udinese e Cremonese. E’ stato a Formello anche giovedì e venerdì, prima della partenza verso Empoli. Come Sarri, si è inorgoglito nel vedere la Lazio vincere anche all’ultima di campionato, con la Champions già in tasca. «Era l’ultimo giorno di scuola, il più era stato fatto, ci poteva essere un calo. E invece avete visto? Tutti volevano arrivare secondi». Ha sempre chiesto un gruppo irriducibile, combattivo come è il suo carattere. Così è nato l’accostamento con la Coppa Italia del 2013, quando spedì la Lazio in ritiro a Norcia nonostante il parere contrario di Petkovic. «Ho rivisto la finale alle 3 di notte qualche giorno fa. E la mia soddisfazione più grande, festeggiando all’Olimpico, è aver riabbracciato alcuni ex giocatori a cui piacerebbe tornare alla Lazio. Abbiamo creato un clima». Lotito ha spesso evocato la figura del pater familias. Ha un senso, declinato in modo professionale. Si chiama equilibrio. E’ quello che cercherà di trasmettere nei prossimi giorni, riallestendo la compagine dirigenziale. Tutto ruoterà intorno a Calveri (segretario generale dal 2008 e con la qualifica già acquisita a Coverciano di direttore sportivo) e Fabiani. Sono indiscrezioni fondate, non abbiamo chiesto, Lotito si sarebbe chiuso a riccio. Una sola domanda su Tare, tuttora in bilico. «Ci parlerò» la risposta lapidaria. La partita non è chiusa, a meno che il diesse non decida autonomamente. Il presidente deve far combaciare le esigenze: ridisegnare la mappa societaria, non recidere un rapporto (se non dolcemente) con Igli, sua creatura a scadenza dopo quindici anni di lavoro profondo e meritevole. «L’estate scorsa abbiamo fatto gli innesti giusti all’interno dello spogliatoio» ci ha spiegato, senza fare nomi, riferendosi al temperamento e all’aspetto caratteriale dei giocatori. Era decisivo, ancora di più per la Lazio, non minare la compattezza del gruppo, anzi rinforzarla. E’ stato intuitivo pensare agli acquisti di Romagnoli e Vecino. E il futuro? Gli diciamo di non accontentarsi, perché dopo il terzo posto di Pioli (2015) e il quinto di Inzaghi (2018) sono arrivate le peggiori stagioni della Lazio, due volte ottava, in tempi recenti. Anche il 2020/21, dopo l’ultima Champions, non è stato splendido. Lotito a volte si è adagiato e seduto, pensando di poter ottenere il massimo o più della stagione precedente senza investire nel parco giocatori. «Non succederà questa volta, c’è una differenza». Aveva delegato i poteri, si era allontanato da Formello. Cercherà adesso di cambiare qualcosa, almeno nella strategia: coordinare il lavoro di squadra dei suoi collaboratori, dividendo le responsabilità e assumendo le decisioni finali. Lotito conserverà il potere di sintesi e l’ultima parola. Su un punto, e ha parlato di investimenti, ha dato ragione a Sarri. «Non ci si può arrivare una sola volta. Sarebbe opportuno andarci tre anni di fila in Champions» e allora stabilizzerebbe verso l’alto i ricavi, permettendosi di alzare il livello. Ha un’ambizione: colmare la differenza, rispetto ai club che garantiscono stipendi più alti, attraverso il senso di appartenenza e il clima prodotto dalla Lazio. Lo stesso apprezzato dai 64 mila tifosi radunati all’Olimpico in occasione della partita con la Cremonese. Un punto su cui Sarri è stato chiaro riguarda le cessioni. Inutile parlare di centrocampisti senza conoscere ancora il destino di Milinkovic e Luis Alberto. «E’ una questione tra me e il presidente» ha dichiarato lo spagnolo. «E’ vero», ha risposto Lotito, escludendo possa chiedere la cessione come era successo nelle ultime due estati, anche se il suo procuratore presto potrebbe presentarsi con un’offerta importante. C’è aria di rinnovo. Lotito ci ha parlato tante volte e ha invitato anche Sarri a considerare il carattere particolare del numero 10: la situazione sembra sotto controllo. Più ermetico sul capitolo Milinkovic, a cui tiene e che adora, non se n’è mai voluto liberare. Kezman, è chiarissimo, non sta muovendo un dito. Il tempo lavora a suo favore, può far scendere il prezzo. Il presidente sta valutando diverse opzioni, non s’è fatto scappare niente o quasi a microfoni spenti. Dal lungo giro di parole abbiamo capito che tenterà un’ultima volta di trattenerlo attraverso il rinnovo del contratto (come ha suggerito Sarri), altrimenti lo accontenterà, ma soltanto se fosse Sergej a spingere in prima persona per la cessione e di fronte a un’offerta importante. Gli abbiamo chiesto se, per una volta, potrebbe accettare contropartite tecniche di livello e adeguate, due cavalli buoni per la Lazio al posto di uno. «Non fate voli pindarici» la risposta di Claudio. Punto, a capo. 

 


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