Lazio, se il 4-3-3 diventa una regola

Il secondo posto dello scorso anno ha 'viziato' il tecnico biancoceleste: manca una valida alternativa di gioco

«Parlo spagnolo a Dio, italiano alle donne, francese agli uomini e tedesco al mio cavallo». Re Carlo V d’Asburgo voleva dire che ogni occasione richiede una diversa maniera di porgere. Maurizio Sarri, è evidente, non segue gli insegnamenti di Carlo V, si accredita più vicino a Sofia Loren che in una celebre intervista disse «Non sono italiana, sono napoletana». Sarri non è un allenatore, Sarri è Sarri e basta, parla sarriano, gioca sarriano cascasse il mondo. Se incontra una squadra dal gioco sfrontato, se incontra una squadra che fa il contropiede, se incontra una squadra chiusa a riccio. Nessuna differenza. Questa sua unicità di pensiero (non lo dico con l’accezione negativa che viene data in politica) gli ha regalato fama, trionfi, denaro: alla guida del Napoli, della Juventus, del Chelsea. Certo, una cosa (restando al campionato italiano) è avere Higuain, Mertens e Hamsik, oppure Ronaldo, Dybala e Pjanic, un’altra una rosa come quella che gli è stata messa a disposizione, oggettivamente più modesta. Con la quale, pure, Sarri ha compiuto il miracolo del secondo posto.

Sarri, un 4-3-3 senza variazioni

È giusto quindi che prosegua con il suo 4-3-3, meno giusto - trovo - che non ammetta variazioni sia per quanto riguarda il modulo sia per la scelta dei giocatori in campo quando l’avversario o l’andamento della partita lo richiederebbe. Gli altri, quasi tutti gli allenatori della serie A, lo fanno. Allegri alterna la difesa a tre o a quattro o l’attacco a una o due punte; anche Simone Inzaghi varia difesa e centrocampo (attacco mai, ma con Lautaro che bisogno c’è?), Pioli ritocca spesso la mediana in corso e gli interpreti di punta (ma lui può scegliere), non parliamo poi di Italiano che cambia abito alla sua Fiorentina come se fosse double face, anzi multiuso.  

Sarri, le difficoltà realizzative della Lazio

Forse proprio il secondo posto dello scorso campionato ha “viziato” Maurizio Sarri. Al felice esito del 4-3-3 ha contribuito in maniera determinante la vena e la qualità realizzativa del trio avanzato: 12 gol Immobile, 10 Zaccagni, 9 Felipe Anderson. I tre attaccanti sono fermi oggi – siamo oltre la metà del campionato - alla somma di 9 gol, solo 5 se calcoliamo Zac e Felipe, Immobile è a quota 4 con tutti i guai che ha passato, Isaksen ne ha segnato uno, come Pedro. La partita con il Napoli ha sottolineato la difficoltà realizzativa della squadra, ma anche la mancanza di un’alternativa di gioco da parte del suo allenatore. Devo aggiungere che la povertà della sfida fra la prima e seconda dello scorso torneo è apparsa come il manifesto dell’eccezionalità di quella classifica, al di là delle assenze importanti da una parte e dall’altra. Un Napoli arroccato e incapace di distogliere Provedel dal suo giorno di vacanza avrebbe dovuto però suggerire una qualche variazione. Obiezione: come variare? Le due punte? C’è solo Il Taty. Un’ala diversa? Zaccagni è out e PedroPedro è spento, scarico. E dunque?


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Sarri, mancanza di coraggio

Dunque Sarri avrebbe potuto provare quanto meno ad accelerare le due fasce. Privare Lazzari dello scambio automatico con Felipe vuol dire privare la fase offensiva di una chance importante; mai Isaksen lo ha lanciato sul fondo. Insistere sull’alternanza Lazzari-Pellegrini con il conseguente spostamento di Marusic - esausto - è mancanza di coraggio. La necessità di mantenere equilibrio, così caro al toscanaccio, si scontra con l’opportunità di colpire un avversario inoffensivo, come domenica appariva la squadra rimaneggiata di Mazzarri. Come era già accaduto nel derby. Dipende sempre da chi si ha di fronte. Parlare italiano alle donne e tedesco ai cavalli. Non sempre toscano. 


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«Parlo spagnolo a Dio, italiano alle donne, francese agli uomini e tedesco al mio cavallo». Re Carlo V d’Asburgo voleva dire che ogni occasione richiede una diversa maniera di porgere. Maurizio Sarri, è evidente, non segue gli insegnamenti di Carlo V, si accredita più vicino a Sofia Loren che in una celebre intervista disse «Non sono italiana, sono napoletana». Sarri non è un allenatore, Sarri è Sarri e basta, parla sarriano, gioca sarriano cascasse il mondo. Se incontra una squadra dal gioco sfrontato, se incontra una squadra che fa il contropiede, se incontra una squadra chiusa a riccio. Nessuna differenza. Questa sua unicità di pensiero (non lo dico con l’accezione negativa che viene data in politica) gli ha regalato fama, trionfi, denaro: alla guida del Napoli, della Juventus, del Chelsea. Certo, una cosa (restando al campionato italiano) è avere Higuain, Mertens e Hamsik, oppure Ronaldo, Dybala e Pjanic, un’altra una rosa come quella che gli è stata messa a disposizione, oggettivamente più modesta. Con la quale, pure, Sarri ha compiuto il miracolo del secondo posto.

Sarri, un 4-3-3 senza variazioni

È giusto quindi che prosegua con il suo 4-3-3, meno giusto - trovo - che non ammetta variazioni sia per quanto riguarda il modulo sia per la scelta dei giocatori in campo quando l’avversario o l’andamento della partita lo richiederebbe. Gli altri, quasi tutti gli allenatori della serie A, lo fanno. Allegri alterna la difesa a tre o a quattro o l’attacco a una o due punte; anche Simone Inzaghi varia difesa e centrocampo (attacco mai, ma con Lautaro che bisogno c’è?), Pioli ritocca spesso la mediana in corso e gli interpreti di punta (ma lui può scegliere), non parliamo poi di Italiano che cambia abito alla sua Fiorentina come se fosse double face, anzi multiuso.  

Sarri, le difficoltà realizzative della Lazio

Forse proprio il secondo posto dello scorso campionato ha “viziato” Maurizio Sarri. Al felice esito del 4-3-3 ha contribuito in maniera determinante la vena e la qualità realizzativa del trio avanzato: 12 gol Immobile, 10 Zaccagni, 9 Felipe Anderson. I tre attaccanti sono fermi oggi – siamo oltre la metà del campionato - alla somma di 9 gol, solo 5 se calcoliamo Zac e Felipe, Immobile è a quota 4 con tutti i guai che ha passato, Isaksen ne ha segnato uno, come Pedro. La partita con il Napoli ha sottolineato la difficoltà realizzativa della squadra, ma anche la mancanza di un’alternativa di gioco da parte del suo allenatore. Devo aggiungere che la povertà della sfida fra la prima e seconda dello scorso torneo è apparsa come il manifesto dell’eccezionalità di quella classifica, al di là delle assenze importanti da una parte e dall’altra. Un Napoli arroccato e incapace di distogliere Provedel dal suo giorno di vacanza avrebbe dovuto però suggerire una qualche variazione. Obiezione: come variare? Le due punte? C’è solo Il Taty. Un’ala diversa? Zaccagni è out e PedroPedro è spento, scarico. E dunque?


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