Ritrovare la mappa giusta, in questo scenario, non è semplice per una Lazio che insegue ancora un posto in Europa. Traguardo che è una questione di prestigio, ma anche di soldi, nei ragionamenti di un club che ha sposato la politica dell’autofinanziamento. Negli ultimi vent’anni, da quando Lotito è diventato presidente, solo sei volte ha mancato la qualificazione a un torneo dell’Uefa. Un motivo di pressione in più per un gruppo che proviene da un mese di veleni: le dimissioni di Sarri, i sospetti espressi da Lotito sulla spaccatura tra un gruppo di giocatori e Mau, la complicata fase di adattamento al modulo di Tudor, il derby perso facendo un tiro nella porta di Svilar in 96 minuti. E poi lo strappo di Luis Alberto (che ha chiesto la rescissione del contratto), la malinconia di Immobile, il nervosismo di Guendouzi, i misteri di Felipe Anderson sul futuro, i messaggi del procuratore di Zaccagni su un rinnovo bloccato dalla scorsa estate, il rimpianto da parte del senatore di aver “viziato” i suoi calciatori, l’entrata in tackle di Patric nei confronti dei compagni (“si faccia da parte chi non se la sente”), fino al clima gelido di ieri all’Olimpico. La vittoria contro una Salernitana allo sbando, che ha cambiato quattro allenatori e ha incassato 68 gol in 32 giornate, tradendo gli investimenti di Iervolino, ha rappresentato un passaggio obbligato. Adesso restano sei partite di campionato e la semifinale di ritorno di Coppa Italia con la Juve: spetta alla Lazio cambiare le ultime pagine di questo diario.