Pagina 2 | Maurizio Sarri, l'asso delle toppe
Le abbiamo sempre riconosciuto entrambe le doti e non ignoriamo che dell’una e dell’altro c’è una necessità assoluta. Noi sogniamo, signor Sarri, che lei disponga i mobili in maniera che al prossimo uragano - verrà, è ciclico, non c’è da dubitarne - le macerie non seppelliscano anche ciò - non è poi così poco - che va salvato. Noi desideriamo, dopo aver ottemperato al nostro dovere da tifosi - esserci e sostenere la squadra come è sempre accaduto, anche quando in ritiro chiedevamo l’autografo a Sgarbossa e a Magnocavallo - che il famoso progetto, l’equivalente calcistico delle chiacchiere pseudosociologiche che hanno al centro della discussione la categoria più virtuale che ci sia, i giovani, finalmente, si manifesti. Che duri più di un malumore passeggero, che covi una visione, che abbia una prospettiva, che replichi quello che in altre città, Bologna, Bergamo è diventato realtà da più di un lustro. La curva nord vuole vincere sento cantare allo stadio. E quando ascolto quel coro penso che ci sono tante strade per realizzare l’auspicio anche senza arrivare primi.
Lei ne ha battute molte, alcune erano polverose, altre lastricate d’oro. Si è spesso trovato a suo agio nelle prime perché sporcarsi non la spaventa e sospettiamo che arrivato a sessantasei anni, più che far fallire le feste come Jep Gambardella, ne voglia fare un’ultima, memorabile, che omaggi quelle precedenti e se possibile le faccia impallidire. Parole, parole, parole, lo sappiamo, signor Maurizio. Ci è rimasto solo questo e forse il parlarsi addosso è uno degli aspetti del problema, ma al di là delle indignazioni corporative e di un vago senso di vertigine dettato più dallo straniamento che dal caldo, non ci dispiace poi troppo che lei oggi non parli con la stampa. Quando eravamo piccoli sapevamo godere del silenzio e non consideravamo delittuoso non esprimere un’opinione su ogni aspetto dello scibile. Quindi ci asterremo dal giudicare e diremo soltanto che sospettiamo non abbia lasciato affranto neanche lei perché alla fine, quello che vuole è annusare l’odore dell’erba e tornare bambino, almeno per un istante. È il nostro stesso sentimento, la nostra ambizione più inconfessabile, la ragione per cui la domenica ci mettiamo in cammino. L’accendino è scarico, Maurizio. Ci restituisca il carburante, la scintilla, la fiamma. E non sarà un fuoco fatuo. E ce ne parli, come e quando crede, tanto se ha deciso di restare non brucerà la casa. Noi crediamo in lei, comandante, perché, se non altro, lei ha creduto in noi. Quindi si lasci andare, Maurizio. Si abbandoni alla stagione più complicata che le avrebbero potuto preparare, ci sorprenda e non ascolti nessuno.