Il sarrismo senza il guanciale© LAPRESSE

Pagina 1 | Il sarrismo senza il guanciale

Leggi il commento al momento dei biancocelesti di Sarri

Prendiamo un esempio dalla culinaria: si può fare l’amatriciana senza avere né guanciale, né pecorino? E parallelamente: è possibile praticare il sarrismo senza palleggiatori, né rifinitori? Riposta facile. Che persino un talebano del pensiero come l’allenatore toscano pare sul punto di accettare. La sua Lazio aveva interpreti chic come Luis Alberto e Felipe Anderson, capaci di elevare il tasso tecnico anche dei compagni di squadra. Al loro posto troviamo oggi Dele-Bashiru e Cancellieri, e qui potrebbe chiudersi il discorso. Se non fosse che anche il Comandante sta facendo forza su sé stesso per convincersi a cambiare spartito. Deve avere sofferto assai, a Como, nel vedere applicare i suoi principi da una squadra che però non era la sua. Da stropicciarsi gli occhi l’abilità e la velocità d’esecuzione dei ragazzini di Fabregas, giovani, per lo più sconosciuti, compattati dall’ex allievo di Sarri in tempi strettissimi, come se giocassero insieme da anni (16 in campo, neanche un italiano; ha ragione il nostro direttore: dove va a pescare il povero Gattuso?). Il sarrismo di Fabregas ha sorpreso e annichilito una Lazio incapace non solo di interpretarlo ma anche di contrastarlo.

 

 


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Dunque? Dunque occorre voltare pagina. Allontanare le ombre di Como. Cancellare il confronto con lo scorso anno: Como 1 Lazio 5. La stessa Lazio della scorsa domenica, con Isaksen e Vecino in meno, ma un Como rivoluzionato con soli tre superstiti. Voltare pagina significa rispettare le caratteristiche dei giocatori a disposizione, che non hanno l’eleganza del palleggio ma sanno correre e pressare. E con Dia alle spalle di Castellanos sapevano mettere in ansia le difese. Oggi Castellanos è così nervoso probabilmente perché solo, non riceve un pallone, si annoia. Baroni l’aveva costruita così la sua Lazio, con un 4-2-3-1 flessibile che per i primi tre mesi della scorsa stagione destò ammirazione in Italia e in Europa: una galoppata in campionato dal 29 settembre al 24 novembre, 7 vittorie e una sconfitta sfigata (a Torino con la Juve, autogol di Gila); prima classificata di 36 squadre nella fase iniziale dell’Europa League. La rosa capace di quelle imprese è la stessa di oggi. Anzi, Sarri ha due pedine in più, Cataldi e Cancellieri, che forse avrebbero evitato il crollo di Baroni nella seconda parte della stagione. Non si tratta di copiare ma solo ripartire da una base solida e collaudata. Con l’aggiunta del tocco sarriano, uno chef che sa dare ad ogni piatto un gusto speciale.

 


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Prendiamo un esempio dalla culinaria: si può fare l’amatriciana senza avere né guanciale, né pecorino? E parallelamente: è possibile praticare il sarrismo senza palleggiatori, né rifinitori? Riposta facile. Che persino un talebano del pensiero come l’allenatore toscano pare sul punto di accettare. La sua Lazio aveva interpreti chic come Luis Alberto e Felipe Anderson, capaci di elevare il tasso tecnico anche dei compagni di squadra. Al loro posto troviamo oggi Dele-Bashiru e Cancellieri, e qui potrebbe chiudersi il discorso. Se non fosse che anche il Comandante sta facendo forza su sé stesso per convincersi a cambiare spartito. Deve avere sofferto assai, a Como, nel vedere applicare i suoi principi da una squadra che però non era la sua. Da stropicciarsi gli occhi l’abilità e la velocità d’esecuzione dei ragazzini di Fabregas, giovani, per lo più sconosciuti, compattati dall’ex allievo di Sarri in tempi strettissimi, come se giocassero insieme da anni (16 in campo, neanche un italiano; ha ragione il nostro direttore: dove va a pescare il povero Gattuso?). Il sarrismo di Fabregas ha sorpreso e annichilito una Lazio incapace non solo di interpretarlo ma anche di contrastarlo.

 

 


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