Ciao Lodetti, motorino rossonero

Due scudetti, una Coppa Campioni, un’Intercontinentale e in azzurro l’Europeo del ‘68: un campione d’umiltà al servizio della squadra
Ciao Lodetti, motorino rossonero© ANSA
Franco Ordine
4 min

Ha smesso di battere ieri il cuore grande e generoso di Giovanni Lodetti, 81 anni compiuti in agosto, sgambettato dal solito malanno che ne aveva fiaccato la nota resistenza. Ha smesso di battere dopo una vita nella quale aveva dato, quel cuore, prova di tenace resistenza misurandone la capacità lungo i tanti chilometri percorsi da atleta sui campi di calcio e più tardi in giro per Milano tra studi televisivi a dispensare giudizi precisi come abiti fatti su misura o battute fulminanti in perfetto dialetto milanese. Negli ultimi tempi non ha mai smesso di frequentare gli amici del quartiere tra i quali annoverava Luisito Suarez. Insieme avevano fatto coppia, dopo i tanti duelli rusticani nel derby spettacolare di Milano, alla Sampdoria e in quei 4 anni avevano cementato una sana amicizia proseguita fino ai giorni nostri. La sua assenza ai funerali di Luis aveva destato qualche sospetto: adesso abbiam capito il motivo. Non stava bene Giuanin. «Mi sto riprendendo» aveva sussurrato con un filo di voce al telefono in occasione di uno dei rari colloqui concessi a qualche amico di fede rossonera.

I successi con il Milan

Lodetti è stato per anni il “motorino” sul quale prendeva posto il pallone che poi veniva recapitato ai piedi ispiratissimi di Gianni Rivera. Non si è mai lamentato di quella condizione e nemmeno di quel ruolo. Anzi, da umile esponente di una razza speciale di calciatori, ormai purtroppo in estinzione, ne menava vanto. E difendeva persino qualche giudizio poco tenero dei critici dell’epoca perché - spiegava - «io sapevo che il Gianni poteva farci vincere le partite e correvo volentieri per lui». Nel Milan arrivò per intuito di uno strepitoso coltivatore di talenti, Mario Malatesta che andò a scovarlo addirittura all’oratorio di Caselle Lurani, nel lodigiano (100mila lire il costo del cartellino), dove giocava e serviva messa. Con il Milan ha trascorso il capitolo più esaltante della sua carriera: 288 presenze e 26 gol la contabilità finale, interrotta troppo presto forse ma nell’epoca in cui il calciatore era un pacco postale e non poteva certo ribellarsi al trasferimento deciso dalla società, funzionava così. Nella sua casa, in compagnia della moglie signora Rita e di suo figlio Massimo, Lodetti ha raccolto i ricordi più preziosi dei suoi successi in maglia rossonera: 2 scudetti, 1 coppa dei campioni, 1 coppa Intercontinentale, 1 coppa delle coppe e 1 coppa Italia con l’aggiunta della partecipazione all’europeo del ’68 vinto nella doppia finale di Roma. «Io sono di quelli che non dimenticano» ripeteva spesso dinanzi al quesito banale sul suo amore riservato al Milan e sull’amicizia coltivata con molti dei suoi sodali dell’epoca. Dopo la morte di Anquilletti (gennaio del 2015), fu tra i promotori di una raccolta fondi perché sapeva perfettamente che il suo compagno di mille avventure non se la passava bene.

Il Foggia e quel Mondiale del Messico

Dopo il Milan e la Samp, diede un’altra prova di maturità. Decise di accettare la proposta di un altro milanista, Cesare Maldini, a quel tempo allenatore del Foggia in serie B: non la considerò mai una “retrocessione”, anzi allacciò amicizie conservate nel tempo. Giuanin, per molti milanesi “basletta” (in dialetto vuol dire mento pronunciato), fu tra i protagonisti della promozione in serie A dei pugliesi. Gli è rimasta probabilmente una sola ferita nell’animo datata estate 1970. Partito per il mondiale del Messico con la Nazionale di Valcareggi, superò a pieni voti i test sull’altitudine ma venne rispedito egualmente in patria per una curiosa decisione del ct: Anastasi venne restituito convocando Boninsegna e Prati, “che era rotto” chiosò Lodetti. «Mi proposero di restare in Messico in vacanza con mia moglie: non accettai e tornai a Milano» il suo racconto dell’epoca. Applausi postdatati.


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