Juve-Napoli, la lezione di una sentenza

Juve-Napoli, la lezione di una sentenza© ANSA
Alessandro Barbano
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ROMA - C’è una lezione per il calcio nella sentenza che annulla il tre a zero a tavolino e il punto di penalizzazione al Napoli, e rimette la palla al centro dell’Allianz Stadium: l’autonomia dello sport non è una zona franca dove valgono regole in contrasto con i principi che disciplinano la convivenza civile di una comunità. E la giurisdizione domestica del pallone, che vincola gli appartenenti alla cosiddetta clausola compromissoria, non è un fortino inespugnabile. Ma uno spazio aperto che difende la sua specialità solo in quanto tale specialità si giustifichi. Affinché la legge dei calciatori deroghi a quella dei cittadini, occorre una ragione fondata e riconosciuta che motivi il diverso trattamento, e un titolo che lo legittimi. Il protocollo del calcio non può derogare a una legge dello Stato, senza che la stessa legge non lo preveda: e se la legge autorizza un’Azienda sanitaria locale a fermare la trasferta del Napoli in nome del diritto alla salute, quel divieto non è aggirabile.

La contraddizione tra una quarantena soft, stabilita dal protocollo della Federazione, e una quarantena hard, disposta da un burocrate sanitario in base a una norma di rango superiore, non può essere risolta ritenendo che la prima è più giusta e confacente della seconda al destino dello scudetto. Che un simile vincolo pesi come un macigno sul proseguimento del campionato lo sappiamo tutti dall’inizio della stagione. Ma non per questo può rimuoverlo il verdetto di un giudice sportivo. 

Ciò implica un’altra conseguenza: la giustizia federale non può essere un dopolavoro dove si esercita la fantasia pomeridiana di giuristi à la carte. Che intrecci in una miscela logicamente incoerente - come ha fatto maldestramente la sentenza d’appello - istituti del diritto penale ai principi di correttezza e lealtà proprie dello Sport. Il rischio è quello di costruire una giurisdizione del sospetto, troppo arbitraria per non cozzare con il garantismo che vuole ciascuno innocente fino a prova contraria, e troppo incline a piegarsi a interessi e a rapporti di forza interni al movimento agonistico. Per sottrarsi a questa tentazione, la giustizia sportiva deve fare un salto di qualità. E non scambiare mai più il rigore nell’accertamento delle prove con le scorciatoie del moralismo. Questo vale allo stesso modo per Alex Schwazer come per Juve-Napoli, e per i tamponi dubbi di Immobile

Se tuttavia da ieri sera la palla torna al centro del campo, vuol dire che nella catena decisionale c’è quel giudice che, a Roma come a Berlino, è in grado di far coincidere il rispetto formale della legge con l’equità che fa lo sport più vero e più bello. E allora, si giochi.

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