Quel che riesce solo a Lucio

Quel che riesce solo a Lucio© LAPRESSE
Alessandro Barbano
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Dietro al Napoli c’è il vuoto. Lo vedi dal gioco, prima che dalla classifica, che pure si fa lunga. Tra i trentotto punti di Spalletti (gli stessi di Sarri nel 2017 e due in meno di Allegri dell’anno successivo) e la Juve ci sono stamane tredici lunghezze, che diventano quattordici per l’Inter. Non vuol dire che lo scudetto sia già assegnato, ma che chi vuol restare in gioco deve vincere sempre, e sperare che gli azzurri cadano. Il Milan non c’è riuscito a Cremona e scivola a meno otto, la Juve ci riesce da quattro turni di fila senza aver recuperato fin qui un solo punto, e domani le tocca di ripetersi a Verona. Quanto all’Inter, che oggi affronta in casa un ritrovato Bologna, le sue cinque sconfitte già subite in tredici gare non depongono per una rimonta. Certo, in mezzo stanno anche Atalanta e Lazio, due punti sotto la Roma. Nessuno può ancora dirsi tagliato fuori. Ma al netto del vantaggio già maturato, è l’egemonia nel gioco azzurro a suggerire che non ci sono tra le big, fino a questo momento, rivali alla pari di Spalletti. Nonostante abbia sofferto contro l’Empoli, in pochi avrebbero scommesso sul pari o sulla sua capitolazione. Perché in un modo o nell’altro il Napoli passa, a dispetto dell’assortimento tattico, e scopre nei rincalzi valide alternative all’undici titolare. 

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Orfani di Kvara, ieri gli azzurri hanno soffocato l’Empoli con un possesso palla del 75 per cento e con un assedio paziente, che gli ha regalato il dominio assoluto del gioco ma non la penetrazione tra le linee. Perché i modestissimi toscani stavano arroccati nella loro trequarti come guarnigioni a difesa di un castello assaltato. Ad espugnarlo ci ha pensato ancora una volta Osimhen con un capolavoro di furbizia e di riflessi, costringendo Marin a cadergli addosso. Il resto lo ha fatto Pairetto, fischiando quello che potrebbe dirsi un contatto dubbio in area di rigore. Ma se la supremazia del Napoli è stata assoluta, altrettanto visibile è parsa la sua difficoltà contro squadre che giocano solo per non prenderle, e che schierano due linee difensive parallele, alla distanza necessaria per assicurare sempre il raddoppio della marcatura. Senza gli affondi del georgiano, il Napoli ha fatto fatica a scartare questa muraglia dalle fasce, anche perché a destra Politano tendeva a convergere verso il centro, andando a incrociare in diagonale la fitta rete degli avversari. Quando finalmente è entrato Lozano, la partita ha cambiato volto. Il messicano ha puntato il suo diretto marcatore Parisi, surclassandolo nell’uno contro uno. Sul secondo gol, lo ha lasciato di sasso con una finta retromarcia e uno scatto in avanti che lo ha liberato al cross dal dischetto del calcio d’angolo, aggirando l’enorme architettura difensiva eretta da un tecnico di scuola novecentesca come Zanetti. Zielinski ci ha messo il sigillo. 

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È la prova che Spalletti può, di fronte alle difficoltà del campo, cambiare la dotazione tecnica e agonistica della squadra, ma soprattutto innescare uno switch tattico per centrare il risultato. Lo stesso non è riuscito al suo rivale Pioli, che pure di fronte alla difficoltà di sbloccare la gara ha rinnovato in sequenza l’intera linea offensiva rossonera, sostituendo Origi con Leao, Diaz con De Ketelaere, Rebic con Lazetic, Tonali con Krunic. Senza che la capacità di pungere del Milan guadagnasse alcunché. 

Se il Napoli dovesse ripetersi sabato al Maradona contro l’Udinese, il Duemilaventidue del calcio italiano si incaricherebbe di cristallizzare un gap di classifica fedele al primato del gioco. Poi il campionato attraverserà la ghiacciaia - ancorché bollente - del Qatar per cinquanta lunghi giorni, senza tuttavia la certezza che lo scongelamento di gennaio restituisca al calcio un prodotto fresco. Alla ripartenza l’unica distinzione su cui poter contare sarà proprio la diversa classifica. Il resto sarà tutto da costruire, o piuttosto da rimettere in discussione


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